Ieri vi abbiamo parlato di Pirati dei Caraibi – La maledizione del forziere fantasma, e oggi non possiamo che trattare Davy Jones, possessore del suddetto forziere. Nella saga di Jack Sparrow, Jones è il capitano del vascello noto come l’Olandese Volante, il cui scopo, inizialmente, era quello di traghettare le anime di coloro che sono morti per mare dal nostro mondo all’aldilà. Davy è stato scelto dalla dea del mare Calypso, sua amante, per questo infausto compito, e la ricompensa per il pirata consiste nel poter toccare terra una volta ogni dieci anni e passare un giorno con l’amata. Ma, allo scadere della decade, Jones si reca al punto d’incontro e non vi trova l’amata. Distrutto, convince prima i Signori dei Pirati a imprigionare Calypso in forma umana (diventa così Tia Dalma), e poi si strappa il cuore e lo deposita in uno scrigno. Da quel momento, abbandona il suo ruolo di Caronte e inizia a vagare per i mari al comando dell’Olandese Volante, popolato da una ciurma composta da marinai che hanno giurato di servirlo per cento anni. La maledizione di Davy Jones li mantiene giovani, ma li trasforma a poco a poco in creature ibride tra umani e esseri marini.
Un particolare interessante riguarda l’influenza di Sergio Leone nella storia d’amore tra Davy Jones e Calypso/Tia Dalma: entrambi hanno un carillon che rappresenta il loro amore perduto, come il personaggio di Lee Van Cleef in Per qualche dollaro in più. E come nella scena del duello tra Van Cleef e Gian Maria Volonté, in una sequenza di Ai confini del mondo la fine della musica suonata dal carillon di Calypso coincide con l’inizio di quella di Jones. Gore Verbinski ha ammesso l’influenza di Leone, e questa è anche evidente nella scena del Parley nello stesso film, come vedremo domani.
La storia dello “Scrigno di Davy Jones” è in realtà ben più antica della saga cinematografica Pirati dei Caraibi: risale infatti al diciottesimo secolo il primo utilizzo conosciuto dell’espressione. Si trova in “Four Years Voyages of Capt. George Roberts” di Daniel Defoe, ed è utilizzata come metafora del fondo dell’oceano. “Gettare nello scrigno di Davy Jones” voleva dire condannare a morte un marinaio o un pirata, semplicemente facendolo cadere nel fondo del mare. Non si sa da dove provenga il nome Davy Jones: sono state fatte numerose ipotesi, tra cui quella che si trattasse di un marinaio miope che spesso cadeva per errore fuoribordo, oppure un gestore di pub che imprigionava i marinai ubriachi e li vendeva alle navi di passaggio (citato nella canzone “Jones’s Ale is Newe”). Oppure ancora, Davy Jones sarebbe un’incarnazione del Diavolo (Davy starebbe per “Devil”) o più precisamente “il demone che presiede su tutti gli spiriti maligni delle profondità, e appare in numerose forme, appollaiato sulle navi alla vigilia di uragani, naufragi e altri disastri a cui la vita del mare è esposta, avvertendo i devoti sventurati della morte e del disastro che si avvicinano”, come dice Tobias Smollett in “The Adventures of Peregrine Pickle” (1751). C’è da dire che, intorno al 1630, è riportata l’esistenza di un pirata di nome David Jones, che operava nell’Oceano Indiano. Ma è una figura di poco conto, ed è improbabile che abbia in qualche maniera influenzato il gergo piratesco.
Qualunque sia l’origine di una così affascinante espressione, non possiamo che essere grati della sua esistenza, perché da essa è nato uno dei più convincenti e complessi cattivi “digitali” del cinema, che trae parte della sua indubbia potenza dalla grande interpretazione di Bill Nighy, nascosto sotto un trucco computerizzato che non è riuscito a contenerne la bravura.
Domani, proseguiamo a parlare delle “Cose da Pirati” con il Parley!