Dylan Dog, la recensione

Dylan Dog, la recensione

Di Gabriele Niola

Dylan Dog Final Poster ItaliaRegia: Kevin Munroe
Cast: Brandon Routh, Sam Huntington, Kyle Russell Clements, James Hébert, Marco St. John, Dan Braverman, Kimberly Whalen, Courtney J. Clark, Anita Briem, Taye Diggs, Peter Stormare, Kurt Angle
Durata: 108 minuti
Anno: 2011

Poteva infine mancare Dylan Dog? In questo decennio di comixploitation sarebbe stato quasi ingiusto tralasciare un adattamento dal noto fumetto di Tiziano Sclavi. Talmente si sentiva il bisogno di una versione cinematografica dell’indagatore dell’incubo nonostante quella “non ufficiale” di Michele Soavi (che però aveva l’ufficiale Rupert Everett) del 1994, che la si è fatta anche senza molti degli elementi cardine.
In questo sta la prima contraddizione: fare un Dylan Dog ufficiale (non come Dellamorte Dellamore) ma poi non poter utilizzare molti dei “marchi” caratteristici del film. Non c’è Londra, non c’è il maggiolone bianco (è di proprietà della Disney la quale non lo concede) e non c’è Groucho (la cui immagine è vincolatissima). Cosa rimane? La camicia rossa, le clark, la pistola a tamburo e il font sostanzialmente.

Ma elementi caratteristici a parte il vero disastro di questo Dylan Dog di Kevin Munroe è che è un pessimo horror mascherato da noir. Il motivo per il quale i fan (del fumetto e del cinema tout court) dovrebbero insorgere non sono tanto i mancati riferimenti e le imprecisioni quanto il pessimo girato e lo spirito non italiano, vedasi la sequenza della vestizione girata come Rambo che si mette la fascia.
Il Dylan Dog di Kevin Munroe diventa un film tra l’investigativo classico (voce fuoricampo e intrighi) e l’horror, che incrocia il “mostrismo” moderno in stile Underworld (le razze vampiri, lupi mannari e zombie prese in un intrigo di potere, magheggi e risveglio di demoni).

E se si potrebbe anche passare sopra un protagonista fuori parte (ma come si fa? E’ tutto il film!) di certo non si può chiudere un occhio di fronte la lunga sequenza finale della mutazione in demone: un uomo con un costumone di gommapiuma dura da fare invidia ai pochi mezzi del Tetsuo di Tsukamoto e all’ingenuità di Wishmaster di Craven.

Operazione sensata? Ha un senso pensare un film di Dylan Dog in questi termini? Sono i particolari che mancano o è lo spirito? Qui le altre critiche

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