Another Year, la recensione in anteprima

Pubblicato il 02 febbraio 2011 di Gabriele Niola

Another Year Poster ItaliaRegia: Mike Leigh
Cast: Jim Broadbent, Lesley Manville, Imelda Staunton, Ruth Sheen, Peter Wight, Oliver Maltman, David Bradley
Durata: 129 minuti
Anno: 2011

Per questa pellicola Mike Leigh sembra essersi proposto la cosa più difficile del mondo e al contempo sembra averla realizzata con una tranquillità e una semplicità (apparenti) da opera giovanile.
L’obiettivo è raccontare “un altro anno”, un altro anno nella vita di uno dei personaggi protagonisti, un altro anno passato e irrisolto, un altro anno al termine del quale nulla è cambiato e l’esistenza continua vuota e insulsa.

Come anticipato per arrivare a raccontare di quest’anno Leigh infarcisce il film di personaggi tra i quali quello cruciale non è il più esposto. Ci vuole un po’ per comprendere chi tra le persone coinvolte sia quella di cui si sta parlando e anzi alla fine si ha l’impressione che tutto il film sia un lungo prologo all’inquadratura finale, splendida, muta e lacerante, ma solo perchè arriva dopo tutto quello che c’è stato.
Siamo dalle parti di Segreti e Bugie con il tono di La Felicità Porta Fortuna, ovvero un film di dialoghi (scandito dalle 4 stagioni) per lo più in interno, tra un numero ristretto di amici che intrattengono rapporti di tipo diverso. Il terreno d’elezione di Leigh, che come al solito dirige gli attori benissimo. Se già Sally Hawkins aveva stupito nell’ultimo film, in questo il discorso iniziato lì (un racconto leggero dei drammi della vita) è portato avanti dedicando a tutto il cast l’attenzione e la cura che lì era dedicata alla sola Hawkins. Il segreto è come sempre il metodo-Leigh, sequestrare tutti per un mese e provare ad oltranza ore ed ore di dialoghi, situazioni e momenti fino a che non esce il film.

Mai estetizzante, mai manieristico e fine a se stesso Leigh non cura solo i dialoghi ma anche soprattutto le immagini in modo che riescano a rendere i sentimenti più di quanto non facciano le parole, anzi utilizzando proprio quelle parole come trampolino di lancio per stampare in testa un quadro.
C’è una partita a golf che è il senso stesso dell’amicizia virile con le sue ombre proiettate sul green e un pranzo estivo in cui sembra di sentire il profumo dei fiori inebriare gli ormoni.
Personalmente non avevo mai visto nessuno riuscire a rendere sullo schermo qualcosa di così complesso e stratificato come l’insoddisfazione personale che si ripete anno dopo anno.

Cinema per tutti o roba di nicchia con un pubblico ben preciso? Commedia o dramma? Qui le altre critiche

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