Il Grinta, la recensione in anteprima

Il Grinta, la recensione in anteprima

Di Gabriele Niola

Il Grinta Poster Italia 01Regia: Joel Coen, Ethan Coen
Cast: Jeffrey “Jeff” Leon Bridges, Matt Damon, Josh Brolin, Barry Pepper, Hailee Steinfeld
Durata: 110 minuti
Anno: 2010

Anche i punk e i dissacratori di professione arrivano ad un punto nella loro carriera (se vivono sufficientemente a lungo) in cui cantano Strangers in the night senza distorcerla e solitamente lo fanno bene. I fratelli Coen, che della mescolanza dei generi sembravano aver fatto una regola e che sono in grado di piegare qualsiasi storia al proprio volere, ora hanno realizzato un western puro e semplice, senza deviazioni.
Rispetto a Il Grinta originale infatti le modifiche sono poche ed essenziali. Scompare il prologo (che è raccontato e non mostrato) per guadagnare un epilogo, in linea con la lettura che danno di tutta la storia, si sposta l’asse del protagonismo verso la bambina e il Rooster Cogburn di Bridges è molto più un disperato, rovinato alcolizzato di quello di Wayne (è più Drugo insomma). Per il resto tutto uguale, compresi ampi tratti dei dialoghi.

La storia è quella di un bambina in cerca di soddisfazione dopo l’uccisione del padre da parte di un criminale. Gli sceriffi hanno altro da fare e dunque si rivolge a chi possa fare il lavoro per soldi. Potendo scegliere va da Rooster Cogburn (detto il grinta in italiano e in originale noto per avere “true grit”, vero coraggio), notoriamente il più sanguinario degli uomini di giustizia e lo convince ad accettare il lavoro e portarla con sè con una pervicacia che è l’essenza stessa del film.
Se dunque in generale lo spirito è autenticamente e nettamente western (quelli un po’ più complessi di Anthony Mann), rifiutando qualsiasi variazione moderna del genere (ma in sè Il Grinta, con il suo antieroismo, era già moderno all’epoca) i Coen si concentrano su altro. Per farlo, incredibile ma vero, rinunciano anche alla caratteristica numero uno di tutto il loro cinema: l’affermazione di un mondo dominato dalla casualità. Nel loro Grinta la religione è ovunque, regola tutto e alla fine la legge di “giustizia universale” proclamata all’inizio (quella per la quale chi fa un torto dovrà pagare) si avvererà. Tutto risponde ad un ordine che è religioso e reso possibile dalla violenza metodicamente ricercata dalla bambina tanto timorata di Dio.

Il loro interesse primario sembra infatti la morte e la spregiudicata efferatezza del West, come se volessero demistificarlo. Continuamente è sottolineata la presenza dei cadaveri, ognuno di essi si guadagna più di un’inquadratura spesso osservati dalla bambina che si allontana per procedere nel suo percorso. I cadaveri sono tutto ciò che i due continuamente si lasciano dietro, la violenza è tutto ciò che generano con il loro viaggio di vendetta. Non mancano particolari pulp (lingue strappate o inquadrature utili a mostrare la violenza di uno sparo ravvicinato).
Questa dimensione è talmente forte da escludere anche quella che solitamente è la caratteristica principale del West classico, i grandi spazi. Il West dei Coen somiglia moltissimo a quell’altro ovest di Non è un paese per vecchi, medesimi paesaggi, medesima desolazione, tutto il contrario delle verdi montagne dell’originale.
Anche l’epilogo aggiunto non fa che confermare l’efferatezza del mondo western, sia in senso fisico e morale. E come nel libro da cui vengono entrambi i film ci si chiede di chi sia la true grit del titolo, se di Cogburn o della bambina.

Passo indietro o avanti? Stavolta i Coen hanno girato veramente un film inusuale per i propri standard, dove si annida l’idea di cinema dei fratelli? Qui le altre critiche

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