Febbre da Fieno: ScreenWEEK intervista la regista Laura Luchetti

Febbre da Fieno: ScreenWEEK intervista la regista Laura Luchetti

Di Filippo Magnifico

Febbre da fieno foto dal set 1

Arriverà nelle sale italiane il 28 gennaio, dopo aver girato diversi festival internazionali e aver vinto come Miglior Film al Metropolitan Film Festival di New York. Stiamo parlando di Febbre da fieno, pellicola scritta e diretta dalla regista Laura Luchetti. ScreenWEEK.it ha avuto modo di fare una piacevolissima chiacchierata con la regista di questo film, che nel suo piccolo è stato in grado di regalare parecchie soddisafazioni: “Una cosa di cui siamo molto felici e che mi piace poter dire è che questo piccolo film con le sue gambette è riuscito a fare il giro di molti festival importanti, soprattutto in America. Mi piace pensare che una piccola produzione italiana sia riuscita a camminare con le proprie gambe. È una cosa che ci riempie d’orgoglio“. Nonostante sia al suo primo lungometraggio Laura Luchetti ha le idee molto chiare. È cosciente del fatto che il suo Febbre da fieno possa essere facilmente accostato alla miriade di teen movie usciti negli ultimi anni e a chi, troppo frettolosamente, la definisce “Anti-Moccia” risponde: “Essere anti-qualcosa è sempre una cosa molto sgradevole. Preferisco costruire la mia carriera presentando il mio piccolo mondo, un po’ strano, pieno di nerd, colorato“. Un universo all’interno del quale sono le piccole cose quelle veramente importanti, e che non vuole farsi portavoce di chissà quale messaggio: “Febbre da Fieno è un film che si basa sulle piccole cose. Non ci sono storie intricate. Quello che mi interessa sono le piccole cose e le piccole persone. Sono rimasta molto colpita dal lavoro di un artista inglese, Slinkachu, che realizza questi pupazzetti piccolissimi che, fotografati da vicino nei più disparati ambienti urbani, sembrano degli individui. È un po’ questo il mondo che ci ha influenzato, quello delle piccole cose“.

Questa la sinossi del film, a seguire la nostra intervista:

Sullo sfondo di una bellissima Roma estiva, baciata dalla brezza del Ponentino, il vento che secondo la leggenda aiuta gli innamorati timidi a trasportare i messaggi d’amore, si snoda la storia dei due protagonisti principali: Matteo (Andrea Bosca) e Camilla (Diane Fleri). Lui, ventisei anni ancora perdutamente innamorato della sua ex-fidanzata, Giovanna (Camilla Filippi), che un anno prima lo aveva lasciato per una donna; il vero romantico per definizione, insegue l’amore ideale finendo col perdere di vista la realtà. Lei, la voce narrante di tutta la storia, venticinque anni, innamorata di Matteo fin dal primo sguardo.

[Filippo Magnifico] Voglio essere sincero: la prima cosa che ho pensato quando ho letto la storia di questo film, è che si trattasse dell’ennesimo teen movie. Eppure già dal trailer è evidente il fatto che si respira un’aria nuova. Qualcuno ha anche tirato in ballo i mitici Monty Python. Cosa dobbiamo aspettarci dunque?

[Laura Luchetti] Quello dei Monty Python è il tipo di umorismo che mi piace, ma un paragone mi sembra improprio e presuntuoso. Le definizione teen movie è una cosa che mi fa sempre sorridere. Ogni volta che si vedono degli attori giovani si pensa ad un teen movie, ma sarebbe come dire che Stand By Me sia un film per bambini. Febbre da Fieno è una commedia sentimentale, dai toni malinconici, che parla delle seconde opportunità. È buffa e ci sono personaggi stravaganti. Tutto ruota intorno a questo negozio di modernariato, all’interno del quale si cerca di dare una seconda opportunità alle cose appartenute al passato. C’è un cast corale: ci sono tre ragazzi tra i venticinque e i ventisei anni, c’è una coppia di trentaseienni, c’è un bambino di undici anni, praticamente una famiglia di amici, che lavorano tutti nello stesso posto. È un film sull’amore e sulle sue diverse declinazioni: l’amore per una star del cinema che nasconde il terrore di confrontarsi con un sentimento reale; l’amore per un passato che non si riesce a dimenticare; ma soprattutto la ricerca di un coraggio che manca ad una serie di personaggi che sono molto sensibili e dolci, che sussurrano le cose senza mai urlare e che fondamentalmente hanno paura di innamorarsi e di prendersi delle responsabilità. Il tutto ambientato in questo mondo, che protegge le piccole cose.

[F. M.] La storia del film ruota attorno ad un negozio di modernariato, un luogo speciale dove si da una seconda opportunità alle cose appartenute al passato che altrimenti finirebbero nel dimenticatoio. Qualche riferimento autobiografico o si tratta semplicemente di un luogo metaforico?

[L. L.] Il riferimento autobiografico c’è, e risiede nella mia grande passione per il modernariato, per il vintage e per tutti quegli oggetti appartenuti ad un passato molto recente. Frequentare questi posti mi è servito molto, sia in Inghilterra, dove ho vissuto 13 anni, che a Roma. Parlando con i proprietari, che mi hanno raccontato la storia di alcuni oggetti presenti nei loro negozi, è venuto fuori un comune denominatore, una cosa che mi hanno detto tutti: quei vestiti, quelle scarpe, quei dischi, se non fosse per loro andrebbero buttati. Quella che viene offerta a questi oggetti è invece una seconda possibilità. Il nome del negozio, Twinkled, viene dal verbo “to twinkle” e rappresenta tutto ciò che ha brillato nel passato. Anche i protagonisti cercano una seconda possibilità.

[F. M.] Parliamo di Jude Law, attore che non è concretamente presente nel film, ma che allo stesso tempo occupa un ruolo molto importante nella storia. Cosa rappresenta e perché proprio lui?

[L. L.] Penso che Jude Law rappresenti il giusto Apollo di un Olimpo di attori internazionali e famosi. È bello, bravo e simpatico. Per Franky (Giulia Michelini), che continua a scrivergli queste lettere meravigliose, rappresenta un ideale. Questo perché il rifiuto di una star, di un amore idealizzato, non potrà mai fare male come quello del tuo compagno di classe o del tuo vicino. Ho lavorato con Russel Crowe e mi è capitato molto spesso di leggere le lettere di alcune fan. Cominciavano tutte pressappoco così: “Caro Russel, io non sono una fan come tutte le altre. Io ho capito la tua essenza. Io ti amo”. A mio modesto parere il comune denominatore di queste lettere, che non provenivano solo da teenager, era proprio il desiderio di avere un amore ideale. Innamorarsi di un cantante, di un attore, di un calciatore, non fa male come innamorarsi di una persona in carne e ossa che ti può rifiutare.

[F. M.] Questo film ha avuto inoltre una stesura complicata. È stato infatti riscritto più di 10 volte. Dato che sei anche la sceneggiatrice puoi dirci il perché di tanta meticolosità?

[L. L.] Non è esatto dire che il film ha avuto una genesi complicata. C’è un detto inglese, la cui traduzione sarebbe “scrivi e riscrivi”. A prescindere dal risultato finale – che sia ottimo, buono, mediocre o discreto – la sceneggiatura vive di riscritture, a differenza di altre forme letterarie come quella romanzesca. Quando per esempio abbiamo avuto la possibilità di girare alcune scene al Maxxi [il Museo nazionale delle arti del XXI secolo N.d.R.], la storia doveva necessariamente girare attorno a questo luogo, quindi la sceneggiatura è stata riscritta, ma si è trattato di una naturale evoluzione.

[F. M.] Parlaci un po’ degli attori

[L. L.] Penso di essere stata veramente fortunata. Un film corale rappresenta una vera e propria sfida per una “pivella” come me, ma la cosa realmente fantastica è stata la possibilità di avere a disposizione un arcobaleno di attori, tutti così diversi tra loro: c’è questo bambino di 11 anni, Marco Todisco, che è un vero e proprio enfant prodige; ho lavorato con un bravissimo attore affetto da sindrome di Down, una persona che mi ha insegnato tantissimo; Andrea Bosca, che proviene dal teatro e recita con il rigore e la pulizia tipici di quegli ambienti; Giulia Michelini, che segue molto le sue emozioni. Praticamente non ci siamo fatti mancare niente.

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