La bellezza del somaro, la recensione

La bellezza del somaro, la recensione

Di Gabriele Niola

La bellezza del somaro Poster ItaliaRegia: Sergio Castellitto
Cast: Sergio Castellitto, Barbora Bobulova, Laura Morante, Erika Blanc, Gianfelice Imparato, Emanuela Grimalda, Marco Giallini, Lola Ponce, Lidia Vitale, Enzo Jannacci
Durata: 107 minuti
Anno: 2010

Sergio Castellitto è una figura molto strana nel cinema italiano, un attore di caratura che si diletta come filmmaker. Uno dei nostri nomi più noti in Europa (specialmente in Francia) ma anche un esponente di tutto ciò che è la vecchia parte del cinema, tagliato fuori da qualsiasi cosa “nuova” si faccia.
Tutto questo sembra essere la spina dorsale di La bellezza del somaro. Un film vecchio per vecchi (non anagraficamente ma intimamente), che parla ad un pubblico di nicchia con situazioni paradossali e un linguaggio fuori dal tempo. La cui colpa va equamente diviso tra Castellitto appunto e la moglie, Margaret Mazzantini, che ha scritto tutto.

Si racconta di una coppia molto borghese (architetto e psicologa, ricchi di famiglia) con una figlia unica che dà problemi (ridicoli). In una scampagnata nella casa di villeggiatura assieme ad un gruppo di amici (genitori e figli) emergerà come questa figlia minorenne stia insieme ad un vecchio, un uomo di 70 anni profondamente intellettuale. Certo anche le famiglie amiche non stanno messe meglio.
La cifra del film è la commedia surreale di stampo teatrale. I personaggi sono tutte caricature estreme, la recitazione è esagerata, i dialoghi oscillano tra i toni dell’assurdo e del malinconico. Jannacci (il fidanzato 70enne) è il più classico degli elementi perturbatori, tale unicamente per il fatto di esistere, poichè poi fa poco e nulla, emblema di una tipologia umana onestamente intellettuale e in pace con se stesso grazie alla cultura.

Probabilmente però la parte più imbarazzante è il vero cuore del film, ovvero i rapporti che questi genitori cialtroni e falliti intrattengono con i figli, sempre e comunque migliori di loro. Ne escono male i genitori ma su toni talmente assurdi e grotteschi da far pensare che ci dovrebbe essere un senso più alto in tutto questo. Incredibile in questo senso la puerilità del personaggio di Gianfelice Imparato, sempre attaccato ad un auricolare nel quale ascolta un corso di inglese.
Forse è il somaro del titolo (sempre presente in quasi ogni inquadratura) ad esprimerlo? Forse sono le moltissime metafore esplicite e schiaffate in faccia allo spettatore (la donna di servizio rigida e colta che si emancipa, il serpente amico di uno dei figli, il momento topico della “canna” fumata come fosse chissà cosa…).
Poche volte si è visto un film così lontano dal linguaggio moderno e del proprio mezzo. La bellezza del somaro sembra un pasticcio anni ’60, che parla dei problemi di quegli anni, di quelli che oggi suonano invecchiati male e che risultano anche poco comprensibili.

Un film diretto a chi? Ai genitori di oggi? Ad una fascia socio-economico-culturale ben determinata? Qui le altre critiche

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