Regia: Lee Unkrich
Cast: Tom Hanks, Joan Cusack, Timothy “Tim” Allen, Michael Keaton, Beatrice Miller, Emily Hahn, Timothy Dalton, Whoopi Goldberg, Bonnie Hunt, John Morris, Jeff Garlin, Laurie Ophelia Metcalf, Wallace Shawn, John Ratzenberger, Don Rickles, Estelle Harris, Blake Clark, Ned Beatty, Lee Unkrich, Jodi Benson, Annie Potts, Kristen Schaal, James Anthony Cotton, Teddy Newton
Durata: 102 minuti
Anno: 2010
Il film Pixar è un piacere tutto particolare che ci si regala con regolare cadenza annuale. Quest’anno tocca a Toy Story 3, poi sarà la volta di Monster’s & Co. 2 e poi ancora Cars 2. Si apre una nuova era, quella dell’applicazione del franchising che non necessariamente significa un crollo delle idee. Perchè Toy Story 2 era decisamente più compatto, interessante e riuscito del suo predecessore e perchè questo terzo capitolo è molto più in linea con le ultime devastanti produzioni (Wall-E e Up) di quanto non lo sia con i precedenti capitoli. Basta vedere l’uso che viene fatto di prospettive che imitano gli obiettivi cinematografici nelle scene di caos con i bambini dell’asilo.
I personaggi classici vengono tagliati (solo i giocattoli essenziali, gli altri sono stati buttati negli anni) per fare posto a tutta una nuova schiera più in linea con il genere di questo terzo film, il cinema di carcere. Ovviamente si parla sempre di giocattoli che gli autori fanno parlare dotandoli di una personalità in accordo o disaccordo con le loro sembianze, per giocarci come fossero bambini dotati dell’arguzia di adulti (in questo i rimandi sottoculturali tra Ken e Barbie sono emblematici di un modo di vedere il mondo in primis e poi il cinema, perchè proprio Ken e Barbie, idioti fino al midollo sono anche i veri outsider di questo film).
Il modo in cui la Pixar affronta la serialità dei propri film sta tutta in come, potendo evitare la prima fase fisiologica di presentazione dei protagonisti, individua un soggetto in linea con le corde dei suoi autori e lo sviluppa con ritmo, facendo molta attenzione a come ogni svolta e ogni movimento causi uno smottamento interiore.
Andy prende in mano Buzz e Woody, li guarda attentamente, decide di portare solo Woody al college buttando Buzz nel mucchio con gli altri. E’ una delle prime scene e quando vediamo Buzz finire nel sacco dove il padrone non lo può vedere, la sua espressione dice tutto quello che non avevamo capito nei due precedenti film.
Il soggetto poi è quanto di più pixariano si possa immaginare: i protagonisti finiscono in un posto dove non desiderano stare e per raggiungere il proprio oggetto del desiderio sentimentale devono compiere un viaggio, titanico tanto quanto i sentimenti che li animano, in un universo nel quale sono minuscoli.
Il viaggio questa volta è un evasione, segue cioè le regole del cinema carcerario e la parte comica sta in come i giocattoli dell’asilo di Sunnyside siano piegati ai ruoli tipici del genere. Dalla montagna umana muta che fa il lavoro sporco, al servo fedele, dallo sgherro scemo fino al doppiogiochista, quello che sa tutto e le vittime spaventate. Alla fine non mancherà la commozione nella risoluzione finale ma è la scena nell’inceneritore che rivela in pieno il senso di questo film. E’ lì che accade qualcosa di unico e profondo anche per gli standard pixariani, che concede ad ogni spettatore il privilegio di leggere qualcosa di diverso.
Come si piazza questo terzo capitolo nella classifica della trilogia di Toy Story? E il suo finale mette la parola fine alla saga? Qui le altre critiche