A circa otto mesi dalla prima veneziana, ho finalmente rivisto The Road al cinema, grazie a una insperata distribuzione. Tardiva, certo, ma meglio tardi che mai. Dopo otto mesi, ho provato le stesse emozioni rivedendolo, e ho sentito dunque il bisogno di riparlarne a mente fredda, ferme restando le cose che ho detto qui. Qui trovate inoltre l’altra nostra recensione, opera di Filippo. Premetto che siamo abbastanza d’accordo, perciò se non avete voglia di leggere un’altra recensione positiva, mollate pure qui.
Chi ha definito The Road troppo deprimente per il pubblico italiano nell’epoca della crisi, evidentemente capisce poco di cinema e della gente in generale. Innanzitutto, a un livello più superficiale, potremmo dire che proprio in quanto film “deprimente”, The Road esorcizza le paure: usciti dal cinema dopo quasi due ore di paesaggi cupi e desolati, cannibalismo e miseria, il mondo fuori vi sembrerà un paradiso. Garantito. In secondo luogo, sì il film è grigio e triste, ma percorso da un sottotesto di speranza: primo perché è un rito di passaggio del testimone, tra padre e figlio, dunque c’è un proiettarsi verso un domani, sicuramente incerto, ma quale futuro non lo è. Secondo perché nel finale c’è un incontro che, per quanto puntellato da frasi non proprio rassicuranti al cento percento, apre un ventaglio di possibilità.
Un particolare che mi ha colpito molto, alla seconda visione, è che John Hillcoat ribalta totalmente le certezze anche nei dettagli. In particolare, è spiazzante vedere come commettere suicidio sia ritenuto un atto coraggioso dal padre (Viggo Mortensen), che dice al figlio (Kodi Smit-McPhee): “devi essere coraggioso”, spiegandogli come farsi saltare il cervello con successo.
Per il resto, The Road è un film tremendamente efficace, nel calare lo spettatore in un’atmosfera di pesante inquietudine, piazzando un paio di sequenze horror magistrali. Hillcoat apre in medias res, non spiega da cosa derivi la fine del mondo e utilizza con efficiente parsimonia i flashback (quelli con Charlize Theron), esaurendoli nel momento in cui non servono più all’avanzare della trama. E poi c’è tutto un discorso sui sogni che rende i flashback sensati: Mortensen dice “quando si sognano cose brutte, vuol dire che sei ancora vivo e stai lottando”. Il peggio arriva quando inizi a sognare i bei ricordi.
Gli attori sono eccezionali: Mortensen è una conferma, ma Smit-McPhee gli tiene testa alla grande. Mi è piaciuto come anche per dei ruoli minori, Hillcoat abbia scelto grandi interpreti come Robert Duvall e Guy Pearce. In particolare, il vecchio interpretato da Duvall è fondamentale alla storia, non solo perché rappresenta una sorta di nonno, una terza generazione che il bambino non ha mai visto prima d’ora. Ma anche perché è proprio questa figura così sofferente che accende nel piccolo la fiamma dell’altruismo in un mondo che lo sta rapidamente cancellando. E’ così che il bambino capisce di portare davvero quel “fuoco” di cui il padre gli parla sempre. Il fuoco della speranza, anche nelle situazioni più disperate. Il fuoco dell’umanità.
Non perdete The Road: al cinema ci starà poco, ma è uno dei film migliori dell’estate.