Regia: Daniel Alfredson
Cast: Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Annika Hallin, Per Oscarsson, Lena Endre, Peter Andersson, Jacob Eriksson, Sofia Ledarp, Johan Kylén, Tanja Lorentzon
Durata:148 minuti
Anno: 2009
E tre: Dopo “Uomini che odiano le donne” e “La ragazza che giocava col fuoco“, arriva il terzo conclusivo adattamento cinematografico della saga Millennium dello scrittore Stieg Larsson.
Il ritmo è convulso, il film inizia come se fosse il terzo tempo del film precedente, la continuità proietta lo spettatore dentro la storia da subito, senza mediazioni.
Lisbeth Salander e suo padre Alexander Zalachenko si trovano nello stesso ospedale, nello stesso reparto feriti e scampati alla morte per un pelo. Immagini opache accompagnano la narrazione della storia che subisce continue variazioni di ritmo: una danza di silenzio e parole frenetiche, di pallottole e sguardi, di passi e pensieri. Le macchine di Alfredson sembrano più decise del precedente episodio, anche se è la trama che si conferma il nucleo centrale de “La Regina dei Castelli di Carta”, non di certo una regia innovativa o una fotografia pittoresca.
La ricerca della verità è il fulcro: tutti sono spasmodicamente alla ricerca di una verità.
Qualcuno vuole scoprirla (la redazione di Millennium, con un Michael Nyqvist un po’ sottotono), qualcuno vuole cambiarla (Il dottor Teleborian, medico), qualcuno vuole corromperla e nasconderla al punto da creare una vera e propria organizzazione criminale.
E tutto gravita attorno a lei: Lisbeth, per quanto appaia poco, è l’eroina dark con il passato problematico che ispira subito voglia di rivalsa, concentra la sua comunicazione negli sguardi, parla poco e si esprime tanto.
I rapporti fra i media, i servizi deviati e i medici fanno solo da contorno alla voglia di giustizia che inizia a germogliare praticamente da subito, nei protagonisti come negli spettatori.
La claustrofobia degli spazi accresce l’attenzione attorno agli attori e alla caratterizzazione dei personaggi: inquadrature volte a cogliere le espressioni e le pause, prevalgono sull’azione e danno un senso di vicinanza ai piani della narrazione.
Lisbeth Salander è un personaggio destinato a restare nell’immaginario collettivo odierno, l’eroina femminista dagli occhi nero pece che Larsson ha descritto a fondo nella sua saga rappresenta la voglia di rivalsa ai limiti della ribellione che, al cinema, fa sempre il suo effetto.
Inevitabile il confronto con il primo episodio della saga girato da Niels Arden Oplev e l’incredibile differenza di velocità fra i due stili narrativi. Chi ha visto il primo ed ha resistito al secondo è il caso che veda davvero qual è la la cornice finale della Regina dei Castelli di Carta.
Voi che ne pensate? Andrete a vederlo?