La storia del Peplum, parte 3: Religious Epics

La storia del Peplum, parte 3: Religious Epics

Di Marco Triolo

Parte 1 | Parte 2

Come abbiamo detto ieri, la produzione epica americana raggiunge lo zenith negli anni ’60. In questo periodo, Hollywood iniziò a collaborare di frequente con gli studios esteri, in particolare con Cinecittà, che forniva immensi set e suggestive location, spesso in Spagna e in Marocco. Luoghi assolati, ricchi di zone brulle e desertiche che si sposavano alla perfezione con l’immaginario “antico” che tali film cercavano di evocare.

Con l’ingigantirsi delle produzioni, e un esponenziale aumento della spettacolarità dei set e dei costumi, andava anche aumentando l’ambizione di quei produttori e quei registi che si lanciavano in queste impareggiabili avventure creative. Così, oltre alla narrazione di eventi storici, si cominciarono a rispolverare anche le tematiche religiose.

Per la verità, il tema cristiano era già stato sfruttato sin dall’inizi della storia del cinema. Ricordiamo film come Quo Vadis (1912), diretto in Italia da Enrico Guazzoni e considerato il primo kolossal della storia, visto che anticipa di due anni Cabiria ed ebbe una risonanza tale, all’estero, da contribuire a creare la formula del lungometraggio. Il film fu rifatto in America nel 1951, da Mervyn LeRoy. Agli anni ’20 appartengono i già citati I dieci comandamenti e Ben-Hur, anch’essi rifatti in seguito (il primo dallo stesso regista, DeMille). Tutto questo fiorire di remake espone chiaramente il nostro punto: negli anni ‘50/’60 le migliori tecnologie spinsero i produttori a rifare parte del “catalogo” film epici, mentre in parte si creavano opere originali che portassero in sala i grandi pubblici. Ovviamente, le storie della Bibbia fanno sempre presa.

E allora via con i vari La tunica (1953, Henry Koster), Il re dei re (1961, anch’esso un remake di un film di DeMille), Barabba (1961, Richard Fleischer) e La più grande storia mai raccontata (1965, George Stevens). Tutte pellicole che riviste oggi fanno un po’ sorridere, per la ciclopica stazza della produzione, la durata e soprattutto la scelta di Gesù belli e biondi che cozzano un po’ con l’accuratezza storica tanto cercata nelle pellicole di oggi.

Budget impressionanti erano spesso associati a questo tipo di operazioni: si parla di 13 milioni per I dieci comandamenti, 15 per Ben-Hur e addirittura 25 per La più grande storia mai raccontata. Tra le star che legarono i loro nomi al filone, ricordiamo Charlton Heston, Robert Taylor, Deborah Kerr e Yul Brynner.

Tra le sequenze da ricordare, vale la pena di citare quella de I dieci comandamenti, in cui Mosè (Charlton Heston) apre le acque del Mar Rosso, oppure ancora la corsa delle bighe nel finale di Ben-Hur. Capolavori visivi di un’epoca pre-digitale, in cui gli effetti nascevano dal lavoro duro e complesso di artisti che spesso ritoccavano a mano i fotogrammi, e stunt e scene di massa venivano realizzati senza ritocchi. Cose che non si vedono più, in un’epoca in cui è possibile creare interi eserciti col PC.

Naturalmente, la componente pagana dell’antichità era invitante quanto quella cristiana: nel prossimo appuntamento, parleremo dei film mitologici!

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