Tra le nuvole countdown: a tavola con Jason Reitman!

Tra le nuvole countdown: a tavola con Jason Reitman!

Di Marco Triolo

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In occasione dell’uscita nei cinema di Tra le nuvole, riproponiamo la trascrizione della “tavola rotonda” con il regista Jason Reitman. Reitman si è rivelato un grande, simpaticissimo e molto alla mano, nonché disponibilissimo a sviscerare il senso di ogni sequenza del suo film. Appena arrivato, ci ha salutati calorosamente e poi ci ha scattato una foto di gruppo! A seguire, ci ha mostrato le altre foto scattate durante il tour promozionale del film: la sua pizza della sera prima e il piatto vuoto dopo che se l’era spazzolata; lui che impara a fare una torta; i giornalisti incontrati a San Francisco, “come voi, ma sono americani, quindi un po’ più pesanti!”. Ma passiamo senz’altro indugio alle domande: e mi raccomando, fate attenzione perché più avanti c’è uno spoiler piuttosto grosso – ma vi avvertirò.

Nei suoi film appare sempre l’attore J.K. Simmons. Perché questa scelta?
J.K. Simmons è la mia musa, la mia voce personificata. E’ un po’ triste pensare che Woody Allen e Alfred Hitchcock avevano sempre queste bellissime donne mentre io ho J.K.!

Non pensa che i suoi personaggi femminili siano lo specchio dell’America di oggi, che torna a rifugiarsi nella famiglia ma alla fine non sa davvero dove andare?
Credo che nessuno sappia davvero cosa fare della propria vita. Io ho solo 31 anni ma ho già imparato che la vita è infinitamente complicata e non ci sono risposte. Ma mi piace raccontare storie sulle donne perché credo che la maggior parte delle storie sugli uomini sia stata raccontata , a differenza di quelle sulle donne. Sono sempre stato attratto da donne molto intelligenti, compresa mia moglie, dunque questi due personaggi sono stati una scelta naturale per me. Sono molto interessato nelle donne moderne, alla loro esperienza a partire dal movimento femminista. Oggi stiamo vedendo le prime due generazioni che sono uscite dal movimento femminista americano, e ciò ha lasciato molte donne confuse. Sono state le prime ad essere assunte in lavori a tempo pieno e hanno dovuto bilanciare famiglia e lavoro, e questo penso che sia difficile. Lo trovo molto interessante e volevo parlarne usando due donne: una che ha 38 anni e sta cominciando a riconoscere le realtà della vita, cioè il fatto che nessuno può avere tutto, che in ogni caso bisogna fare sacrifici; e una giovane di 23 anni che pensa che la sua vita sia già programmata. E’ di questo che parla la mia scena preferita, quella con le due donne che parlano di cosa cercano in un uomo. Un giorno ho chiesto a mia moglie, “se potessi avere una conversazione con te stessa quando avevi 18 anni, cosa direbbe ciascuna di voi due riguardo a quello che cercate in un uomo?”. E lei ha iniziato a dirmi cosa cerca adesso e cosa al contrario cercava allora, io ho annotato tutto e ho scritto la scena.

Secondo lei Alex (il personaggio di Vera Farmiga) è una falsa?
No, è molto vera. E’ più che altro Ryan che rompe le regole. Alex crede in una relazione molto specifica, una sorta di “fantasia sessuale on the road”. A lei va bene così, è lui che rompe le regole, che finisce per credere nella relazione e cerca di cambiarla. Dicevo sempre a Vera, “tu fai l’uomo” e poi andavo da George e dicevo “tu fai la donna”. Credo che fosse un modo interessante per esplorare la relazione uomo-donna e mi ha dato l’opportunità di descrivere Ryan mentre decideva se cambiare o meno la sua concezione della vita.

ATTENZIONE: SPOILER!!!

Sin dall’inizio volevo fare un film in cui Ryan andava alla porta di Alex e scopriva che era sposata. Volevo che il pubblico si connettesse ai personaggi attraverso la perdita, sentendo il loro stesso dolore.

FINE SPOILER

La scena in cui il cognato di Ryan fugge dal matrimonio e viene trovato a leggere un racconto per bambini mi ha fatto subito venire in mente Bush che legge le fiabe ai bambini durante gli attacchi dell’11 Settembre. E’ una cosa voluta?
HA! No, volevo solo dire che è un bambino, e che nelle relazioni gli uomini spesso sono bambini. Volevo che il libro fosse “The Giving Tree”, un bellissimo racconto di Shel Silverstein, in cui c’è un albero che fa da madre a un ragazzino mentre cresce: quando è piccolo gli da mele, poi ha bisogno di rifugio e costruisce una casa con i rami, e gli da sempre di più finché non rimane che un ceppo. E’ una storia che mi fa piangere ogni volta che la leggo, ma non sono riuscito a ottenerne i diritti.

Come le è venuto in mente il “discorso dello zaino” (quello che si vede anche nel teaser)?
Il libro di Walter Kirn e il mio film sono molto diversi. Quello che ho visto nel libro erano un uomo che licenzia la gente per vivere, che colleziona miglia religiosamente, che crede che la vita sia meglio vissuta da soli, da aeroporto a aeroporto. Partendo da questo, ho usato il materiale originale come una scatola degli attrezzi da cui attingere idee per la sceneggiatura. Di solito cerco di raccontare la mia storia e poi trovo qualcuno che ha le giuste parole e mi dico “ecco uno che parla di cose che ho sempre pensato ma non riuscivo ad articolare”. E da lì uso dialoghi di un personaggio e li do a un altro, uso una scena e ne faccio una scena su qualcos’altro. Il libro e il film sono sempre diversi, e ne parlo sempre prima con gli autori in modo che non ci sia animosità, perché so che registi e autori spesso non vanno d’accordo. Per fortuna in questo caso ho avuto una bella relazione. Ma l’autore sta cercando di dire una cosa e io cerco di dirne un’altra. Un giornalista è venuto da me una volta e ha detto una cosa molto intelligente: “il libro parla di una persona che perde tutto, il film di una che lo trova”.

Per rispondere alla domanda, non so come mi sia venuta l’idea del “discorso dello zaino”. Volevo trovare un modo per esprimere il concetto dello “svuotare la propria vita”. Io ho uno zaino molto pieno: una fantastica moglie, una bellissima figlia, abbiamo una bella casa, faccio un lavoro che è anche la mia passione. E lo stesso, quando vado in aeroporto e guardo il tabellone delle destinazioni, fantastico di atterrare in una città dove non conosco nessuno e non ho nulla, e c’è qualcosa di esaltante al riguardo. Credo che comunque tu sia, povero o privilegiato, a un certo punto pensi come sarebbe non avere niente, non avere responsabilità e non essere legato a nessuno. Volevo esplorare questa idea e quella dello zaino mi sembrava un’immagine semplice per rendere il concetto.

Come il fatto di essere diventato padre ha influenzato la scrittura del film?
La mia idea di ciò che è importante nella vita si è evoluta. Quando ho iniziato a scrivere la sceneggiatura, mi consideravo un narratore satirico. Quando ho fatto Thank You For Smoking ero molto cinico, non amavo prendere le cose seriamente. E poi negli ultimi sei anni la mia vita si è riempita, non la potevo più guardare così semplicemente. Quindi ho scritto di un uomo che si chiedeva se fosse necessario avere sostanza nella vita mentre la mia cresceva in sostanza ogni giorno.

Molti pensano che i registi facciano sempre lo stesso film. E’ così? E i tuoi film parlano delle relazioni interpersonali?
Credo che la continuità nel lavoro di un regista sia una cosa positiva, perché indica che sono film personali. Un regista che fa tutti film diversiè come un amico che si venste ogni giorno in maniera diversa e cambia continuamente carattere: non sapresti mai chi è veramente. Quindi sono felice che ci sia continuità nei miei film. Se i miei film sono sulle relazioni interpersonali? Penso di sì, mi piace la gente. Trovo un certo humor nel modo in cui la gente fatica a comunicare. Cerco di parlare di soggetti su cui le persone di solito hanno preconcetti: il mio primo film era sulle sigarette, il secondo su una ragazza madre e il terzo sull’idea di essere soli. Trovo che la gente abbia un set di idee preciso su ciò che crede sia giusto e sbagliato e penso che queste siano stronzate, e che si debba essere di mentalità aperta. Credo perché sono canadese! Mi piacerebbe fare un film sulla religione, per lo stesso motivo.

In che misura collabora con Diablo Cody al di là di quello che arriva a noi?
Spero che collaboreremo di nuovo. Per ora non abbiamo ancora trovato niente ma Diablo è come una sorella, siamo come una famiglia. Mi spiace che non sia qui, due anni fa è stato molto più divertente fare questa cosa, perché c’era anche lei. Noi lavoriamo molto bene insieme, parliamo la stessa lingua, per certi versi siamo totalmente diversi, per altri siamo la stessa persona. E’ molto occupata ora, sta facendo una serie tv, United States of Tara, ma lavorerei con lei anche subito. E penso che abbia bisogno di iniziare a dirigere da sola, è una grande narratrice, mi piace pensare che lo farà e quando succederà la supporterò al 100%.

C’è stato qualche episodio divertente durante lavorazione?
Non ho aneddoti, purtroppo, era un set molto noioso. Non abbiamo fatto nessuno scherzo, George è fantastico e non lascia mai il set. E non si mette mai il trucco, maledetto gossip! E’ un attore che pensa come un regista. E ciò significa che mentre recita pensa come un regista, ad esempio il fatto che il sole si sposta e che quindi dovrà aspettare fino a che la luce sarà giusta. Pensa a tutte e due le cose insieme e quindi rende il mio lavoro più facile. Sa cosa sto cercando di ottenere dagli altri attori e quando non sta girando cerca di spingere gli altri attori nella direzione in cui li voglio. C’è una ragione per cui Steven Soderbergh e i Coen continuano a tornare da lui. Ho chiesto consiglio a Soderbergh e mi ha detto “è la star meno star con cui lavorerai mai”, e questo è vero. Se c’erano cose che non sentiva naturali per il suo personaggio, io le riscrivevo. Non sono un fan della recitazione, non voglio vedere qualcuno che recita, voglio uno che sembri reale. E anche lui vuole la stessa cosa.

Ed ecco qua. Spero che abbiate trovato la chiacchierata interessante come l’ho trovata io: Reitman è un raro caso di figlio d’arte bravo quanto – se non migliore – del padre. Il cinema americano ha guadagnato un’altra grande voce!

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