Regia: Philippe Lioret
Cast: Vincent Lindon, Firat Ayverdi, Audrey Dana, Derya Ayverdi, Thierry Godard, Selim Akgul, Firat Celik, Murat Subasi, Olivier Rabourdin, Yannick Renier
Durata: 110 minuti
Anno: 2009
Diciamolo subito Welcome non brilla per originalità nè per intensità, tuttavia avercelo un cinema che riesce a parlare in questi termini di materia attuale e sociale!
Quando scrivo “in questi termini” intendo adottando un punto di vista non necessariamente assolutorio nè autoindulgente, senza puntare il dito da qualche parte indicando un unico colpevole e soprattutto orchestrando attorno alla materia sociale un racconto vero, fatto di intrecci, idee di messa in scena, sentimentalismo non necessariamente legato alla tematica sociale e figure umane che agiscono in un contesto più grande di quello dei problemi raccontati. Detto in parole povere una storia nel senso pieno e articolato del termine che non abbia per oggetto la polemica ma che lasci emergere il sentimento dietro alla protesta.
Welcome racconta di un uomo moderatamente refrattario a lasciarsi coinvolgere dai problemi legati ad immigrazione ed emigrazione che nella Francia del nord (quella sulla costa della Manica) che si trova coinvolto in una storia d’amore a distanza tra un ragazzo iracheno appena arrivato in Francia e la sua amata (anch’essa irachena) residente con la famiglia a Londra. Il primo cerca disperatamente di entrare nel Regno Unito benchè non abbia i documenti in regola mentre la seconda deve resistere alle insistenze familiari che la vogliono ammogliare per convenienza.
Welcome non è un racconto della storia d’amore dei due, nè della conversione del refrattario francese alla causa degli emigrati, è entrambi. Il doppio intreccio ruota principalmente attorno ai folli tentativi del ragazzo di attraversare la manica, attorno cioè a quella tensione pazzesca che esiste tra il sentire di dover fare qualcosa e il sapere che quel qualcosa può costare più della semplice galera.
Se emigrare clandestinamente è infatti rischiosissimo anche ospitare un clandestino o solo accompagnarlo in macchina (sic!) nella Francia di Sarkozy è considerato reato di favoreggiamento. Non è solo chi vuole scappare a rischiare e molto dunque ma anche chi lo aiuta.
Senza iperboli narrative, nè virtuosismi stilistici Philippe Lioret narra una storia di uomini prima ancora che di fatti vincendo così con poco sforzo la simpatia e il coinvolgimento dello spettatore, poi però non riesce a fare il passo successivo e si accontenta di un 6 e mezzo. Non riesce cioè a tramutare quel suo racconto di uomini in qualcosa che sappia essere universale, rimane attaccato alla particolare vicenda narrata come si conviene senza lasciare quel margine interpretativo che consente allo spettatore di introiettare la sua visione del mondo e trarne una sintesi. La storia appassiona ma rimane lì e il giorno dopo è quasi dimenticata.
Di cosa parliamo quando urliamo allo scandalo nel nostro paese? Quali scenari sono riflessi dal cinema delle altre nazioni e come riflettono su quei temi al cinema? Qui le altre critiche