Il traffico umano di organi è una delle piaghe del mondo moderno: un problema spesso ignorato, ma grave e asolutamente da affrontare. Per questo un’opera come H.O.T. – Human Organ Traffic, documentario diretto da Roberto Orazi e scritto insieme al giornalista Allesandro Gilioli, è importante. Perché pone attenzione su una questione spinosa: ovvero le storie di tanti giovani che in paesi come il Brasile, il Nepal e il Sud Africa, vivono in condizioni di estrema povertà e ai margini della società, e vedono come unica via per fuggire dalla miseria la vendita dei loro stessi organi. Ma anche se a volte i donatori sono pagati, mentre in altri casi si tratta di “donazioni involontarie”, dopo un anno e provato che la maggior parte di loro si trova in condizioni di miseria ancora peggiori e che soprattutto alla povertà si aggiunge un ulteriore flagello, ovvero la scarsa salute dovuta all’assenza di cure.
Al di là di questo c’è un sistema globale composto non solo dai trafficanti, ma dagli intermediari che convincono i ragazzi a cedere gli organi, dai medici che espiantano la “merce” e dai chirurghi che, al modico prezzo della loro anima, accettano di chiudere gli occhi di fronte a una tale atrocità. Alla conferenza stampa di presentazione del film, hanno presenziato il senatore del PD Ignazio Marino, chirurgo e presidente della commissione parlamentare di inchiesta sul servizio sanitario nazionale, il regista Orazi, Gilioli e il produttore Riccardo Neri.
Marino ha portato la sua esperienza nel dibattito: “Ho lavorato per quasi trent’anni nei trapianti, quindi conosco la disperazione di un paziente che non riesce a trovare un organo, ma questo non può essere una giustificazione per compiere crimini contro altri esseri umani“. Marino porta poi un esempio pratico, che lascia a bocca aperta: “In Cina le esecuzioni capitali avvengono con un colpo alla nuca, per determinare la morte cerebrale. Subito dopo i corpi vengono portati a bordo di una sala operatoria mobile, dove si procede all’espianto. Si sa di ricchi occidentali che si trasferiscono in Cina pochi giorni prima delle esecuzioni, avvertiti per tempo dal carcere, e ricevono il trapianto nel giorno stesso dell’esecuzione“.
Continua Gilioli, autore di un articolo che ha denunciato il traffico dalle pagine de “L’Espresso”: “Mi sono finto un malato di reni e sono andato a Kathmandu, in Nepal, per cercare un organo. Con mia sorpresa, c’ho messo solo due settimane. Sono stato avvicinato da due mediatori in un ospedale, e questi mi hanno fatto incontrare un ragazzo che veniva dalla campagna indiana, disposto a donare il suo rene per 500 euro“. E prosegue: “In India c’è un fenomeno di fuga dalle campagne: i giovani vogliono andare a vivere in città e avere beni di consumo, come cellulari ad esempio. Per questo sono anche disposti a vendersi un organo. A volte accade invece che i nepalesi vengano attirati in India con la promessa di un lavoro, e lì poi avviene l’espianto senza il loro consenso“.
Il regista Orazi conclude con una nota più umana: “Sono stato molto colpito dalle storie delle persone. Ero molto interessato a chiedere loro il perché di una scelta così radicale. E ho capito che cercavano un benessere che non avrebbero mai potuto ottenere se non donando una parte del proprio corpo: è una sorta di evoluzione dello schiavismo, del colonialismo. Io da parte mia ho cercato di non essere invadente, ma riprendere i veri sguardi di questa gente“.