Regia: Renzo Martinelli
Cast: Rutger Hauer, Kasia Smutniak, Murray Abraham, Antonio Cupo, Cécile Cassel, Hristo Shopov, Raz Degan, Christo Jivkov, Ángela Molina, Federica Martinelli, Elena Bouryka, Vlad Radescu
Durata: 139 minuti
Anno: 2009
Il colossal da 30 milioni di dollari di Renzo Martinelli voluto dalla Lega Nord, finanziato da privati con l’aiuto di Rai Cinema (che lo manderà anche sulle reti nazionali), contenente un cammeo di Umberto Bossi e incentrato sulla ribellione di Alberto da Giussano all’invasore straniero Federico I detto Barbarossa è una cagata pazzesca.
La cosa era abbastanza prevedibile date le molte costrizioni, la matrice eminentemente politica e la volontà di misurarsi con un genere da noi dimenticato da decenni eppure il risultato non manca di stupire in negativo.
Il problema principale che Martinelli non risolve è quello della conciliazione tra storia e mito. L’intento è di fare un racconto mitico nel quale Alberto da Giussano (figura di dubbia esistenza) esca fuori come la tipica figura idealista rivoluzionaria, un esempio anche per la modernità e un eroe nel senso cinematografico del termine (il collettore di tutte le istanze positive di normalizzazione della situazione vero la soddisfazione dei giusti), la riuscita invece è quella di un film che ammazza qualsiasi volo epico con dati storici non solo superflui ma anche imboccati a forza allo spettatore attraverso dialoghi implausibili.
Accade che le persone (almeno per la prima metà del film) si chiamino continuamente per nome e cognome in ogni battuta (è già cult la figura del plurinominato Siniscalco Barozzi), che negli scambi di battute si ricordino eventi storici (“Federico cosa faremo?” – “Mi rivolgerò a mio cugino, avido di terre, che già pochi anni fa ebbe modo di conquistare ecc. ecc.” oppure “Guardate quella è la nuova sposa, porterà con sè in dote il regno di Borgogna com’è uso tra i francesi così che i domini di Federico possano estendersi fino a ecc. ecc.”) e via dicendo. Insomma si esce molto edotti sul contesto storico e su tutti i nomi e cognomi dell’epoca ma poco ammaliati da personaggi che ripetono continuamente se stessi.
Infatti un altro dei problemi è che nonostante i buoni attori messi in campo (più che altro Rutger Hauer e F. Murray Abraham) lo stesso il modo di confermare e reiterare le loro psicologie e i loro caratteri rimane il medesimo lungo tutto il film. E se almeno Hauer e Abraham hanno uno spettro abbastanza ampio di espressioni corrucciate o perfide (a seconda del caso) il protagonista Raz Degan può rendere in una sola maniera l’aria arrabbiata e assetata di libertà che lo contraddistingue per tutto il tempo. Il risultato è una continua ripetizione delle stesse espressioni e delle stesse soluzioni, dei capelli davanti agli occhi, dei ralenti continui e di una furia spesso immotivata.
A mancare probabilmente sono le immagini. Il contrasto tra realismo storico e mito è tutto affidato alle parole con i tragici, implausibili e noiosi risultati descritti e mai alle immagini che invece provengono da un campionario delle più semplici tra Braveheart e Il Signore Degli Anelli, senza però che rispondano ad una logica precisa.
Martinelli non risparmia impennate di Gore come facevano Mel Gibson o Luc Besson nel suo Giovanna D’Arco ma senza che ci sia una visione di mondo corrispondente questo ha poco senso. Detto in altre parole la violenza medievale in Barbarossa non è mai funzionale a qualcosa, non riesce a dirci di più di quel mondo o di quei personaggi o anche di quella storia, riesce solo ad impressionarci e comunque solo ogni tanto.
Da antologia le facili metafore espresse da battute come “Ah! I milanesi stanno proprio lavorando sodo!”, “No fermi! Non portateci via i nostri soldi per le tasse richieste da Roma”, “Federico guarda Milano è la tua porta per la Sicilia”, “Dobbiamo riunire le città in una Lega Lombarda che sia più forte degli stranieri che ci vogliono invadere e così riconquistare la nostra libertà” e tante altre che non ricordo sul momento ma che valgono, se non altro, una risata.
Se non siete daccordo con questa recensione disillusa, negativista e anche un po’ ostile al cinema di Martinelli, l’unica soluzione è leggerne di altre qua.