Venezia: presentati Life During Wartime e The Road

Venezia: presentati Life During Wartime e The Road

Di Marco Triolo

Due spaccati di altrettante famiglie americane sono stati al centro della mattinata qui al Lido. Due storie così diverse, per toni e ambientazione, ma che in entrambi i casi riescono a parlare un linguaggio comprensibile a chiunque.

Life During Wartime

Life during Wartime Todd Solomdz Ciaràn Hinds 1

Il setting suburbano di Life During Wartime, “quasi sequel” di Happiness, come lo stesso regista Todd Solondz l’ha definito, propone un contrasto tra la pulizia del’ambientazione, i quartieri periferici di una città della Florida – con i suoi condomini e i caratteristici mall (i centri commerciali) – e l’alienazione di chi li abita. Dopo 11 anni da Happiness, Solondz recupera la famiglia Jordan, e le tre sorelle Helen, Trish e Joy, ma utilizzando un cast totalmente diverso, per liberarsi dagli schemi e poter giocare con i personaggi senza freni inibitori, in quella che lui stesso ha definito una “variazione” del film precendente.

E infatti Wartime mantiene una struttura simile a quella di Happiness, ovvero quella del racconto corale in cui seguiamo le esistenze parallele dei diversi protagonisti: dalla scombinata famiglia di Trish, sconvolta da un padre pedofilo la cui esistenza la madre ha voluto tenere segreta ai figli più piccoli, all’inacidita e stressata Helen, a cui il successo come scrittrice ha dato alla testa, per finire con la “debole” Joy, che ormai sogna i defunti uomini della sua vita, in un continuo gioco di scambio di colpe. C’è Andy (un ritrovato Paul Reubens), fantasma di un uomo che lei ha lasciato e che per questo si è suicidato, e poi c’è suo marito Allen, un uomo che le ha sempre mentito ma che anche dopo la morte riesce a farla sentire in colpa.

Ecco, forse proprio la colpa è il tema principale del film, o meglio il perdono: “forgive and forget”, perdonare e dimenticare, è uno dei leit motiv, una frase spesso ripetuta dai protagonisti e dal piccolo Timmy, figlio di Shirley, che vorrebbe perdonare il padre nonostante tutto. Ed infine il film è anche la storia della crescita di Timmy, che impara cosa sia il perdono e diventa uomo – non a caso la pellicola si conclude con il Bar mitzvah, cerimonia ebraica che segna il passaggio all’età adulta. Di tutte le figure, disperate, perdute, incapaci di dare un senso e una scopo alla propria vita, Timmy risulta essere il più responsabile e “adulto”.

Un altro elemento interessante è stato sollevato da Solondz durante la conferenza stampa di presentazione del film: l’ispirazione per il setting floridiano è nata da un suo viaggio a Singapore, paese dominato da una dittatura ma nel quale abbondano, come in USA, i centri commerciali. Questo lo ha spinto a chiedersi “quanta gente rinuncerebbe alla libertà per la sicurezza di un condominio pulito o di un centro commerciale” vicino a casa. Ed ecco che il film si tinge di politica, e suona come una riflessione sull’America post-Bush e post-11 settembre, nella quale la paura spinge le persone a radunarsi come formiche intorno a luoghi sicuri, sia fisici che emotivi (la famiglia).

Prima della conclusione della conferenza stampa, ha avuto modo di intervenire anche l’attrice Shirley Henderson, che nel film interpreta Joy. Ha parlato del suo approccio al ruolo di Joy e di come abbia deciso di non copiare lo stile di Jane Adams, che interpretava lo stesso personaggio in Happiness. Ha visto comunque il primo film per cogliere alcuni particolari e per capire come far parlare il suo personaggio, ma per il resto ha cercato di dare una sua interpretazione, essendo questo un progetto differente.

The Road

The Road Viggo Mortensen Charlize Theron 05

Il passaggio all’età adulta è anche al centro di The Road, pellicola post-apocalittica firmata da John Hillcoat e tratta da un romanzo di Cormac McCarthy. E’ la storia di un rapporto padre-figlio ambientato in una situazione estrema, quale appunto l’America sconvolta da un’apocalisse di cui non si conoscono le cause – anche perché, come ha detto Hillcoat alla conferenza, non ci sono più i media a spiegare quanto sta succedendo. L’ambientazione è molto credibile – e cast e troupe sono andati alla ricerca dei luoghi più depressi d’America, come Pittsburgh e la New Orleans post-Katrina – ma ciò che conta, come sottolinea anche lo sceneggiatore Joe Penhall, è il rapporto tra padre e figlio. “Quando ho iniziato a scrivere la sceneggatura”, ha detto Penhall, “ho perso mio padre. Vedevo la storia dal punto di vista dell’impatto del mondo adulto su un bambino. Poi, quando ho finito la stesura, ho avuto il mio primo figlio e ho visto tutto dal lato opposto, dal punto di vista del genitore che si deve prendere cura di un bambino in un mondo difficile”.

Ed in effetti quello che funziona di The Road è proprio il rapporto tra il padre (Viggo Mortensen) e il figlio (Kodi Smit McPhee), in un mondo sì estremo, ma che funziona proprio come metafora della realtà difficile in cui viviamo, e veicola perfettamente la sofferenza e le battaglie di un padre che fa di tutto per difendere e crescere il figlio tramandando a lui i propri valori. Ma, come dicevamo, il film in fondo è una storia di crescita, e non a caso “il figlio diventa uomo e insegna al padre”, come dice Mortensen. Infatti, è il ragazzino che impara la misericordia e cerca di aiutare il prossimo, in contrasto con un padre che pur di proteggerlo ha deciso di soffocare l’empatia verso i suoi simili. Alla fine del film, il ragazzo impara anche un altro importante valore, la fiducia. “McCarthy mi ha detto che il suo libro parla di quanto c’è di buono nella natura umana”, afferma Hillcoat.

Infine, alla domanda se sia necessario o meno essere un padre per comprendere appieno il film, Mortensen ha detto la sua: “si tratta di una love story tra due persone, non occorre essere un padre capirlo. Con Kodi ho sviluppato un bel rapporto di lavoro, non pensavo a lui come a un bambino. Parliamo di due persone che stanno sempre insieme, e quindi non sempre vanno d’accordo. E’ molto più che un rapporto tra padre e figlio”.

The Road, un film cupo, duro, almeno all’apparenza senza speranza. Ma che nasconde una visione positiva, celata tra la cenere e il sangue. Non perdetelo.

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