Shinya Tsukamoto torna al suo deforme universo cyberpunk con un film che come i precedenti prende a sberle i nostri centri dell’equilibrio. Non si capisce un cazzo, scusate il francese, delle sequenze d’azione in cui il nuovo Tetsuo stermina intere squadre di uomini armati. N-i-e-n-t-e. E la cosa sì, lo ammetto, mi ha dato fastidio. Però mi rendo anche conto che è tutto voluto da quel pazzo di Tsukamoto, l’unico uomo al mondo che è ancora credibile quando inserisce l’estetica del videoclip nel cinema. Una delle prime sequenze, che vede una morte violenta scatenare la belva biomeccanica nascosta nel nostro poveraccio di turno – stavolta un meticcio nippo-americano chiamato Anthony Ride – è un mega clippone con tanto di titoli di testa inseriti in sovraimpressione. E va bene così.
Perché quello che segue è un racconto viscerale, violento, che scardina le nostre sicurezze di spettatori pur introducendo un elemento di trama che rende il film coeso, in definitiva. E’ una storia di vendetta, The Bullet Man, ma è anche la storia di un assurdo addestramento, con un “maestro” che uccide il figlio di Anthony per spingerlo a lasciar libero il suo lato mostruoso, frutto di esperimenti al di là dell’umana comprensione. Una razza di uomini macchina, anzi di “uomini proiettile”, destinata a dominare il mondo quando l’ultimo umano sarà sparito.
Tsukamoto prende a pugni il nostro sguardo, recupera i temi del cyberpunk come se il genere non fosse mai sparito nel letargo delle coscienze, lo fonde con suggestioni manga e ci regala un’opera che forse non sarà all’altezza del primo e inimitabile Tetsuo, ma che di sicuro si farà apprezzare dagli appassionati del genere. Non per tutti, comunque.
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Il cattivo tenente
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Life During Wartime e The Road
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