Regia: Marco Bellocchio
Cast: Giovanna Mezzogiorno, Filippo Timi
Durata: 128 minuti
Anno: 2009
Ha un titolo bellissimo l’ultimo film di Bellocchio, già futurista, già slogan, già fascio al 100%. E ha un inizio ancor più fulminante capace di giocare con il tempo nello stesso modo con cui gioca con le immagini di repertorio, le immagini di repertorio finte e le immagini girate. Un modo di raccontare l’incontro tra Benito e Ida, lo scatenarsi della passione e le sue motivazioni (ovvero il fascino dell’uomo Benito per la donna Ida) poco convenzionale per il nostro cinema e molto poggiato sulle spalle di Daniele Ciprì, inedito direttore della fotografia per qualcuno che non sia Franco Maresco o Roberta Torre, bravissimo. Ma bravissimo è anche poco.
Sovrimpressioni, viaggi avanti e indietro, premonizioni future e arroganze presenti. Vincere da subito comincia a fare in maniera speciale e convincente cose molto semplici che altrove potrebbero sembrare (e in passato sono sembrate) da quattro soldi, espressione di povertà inventiva. Il suo modo di riprenderle e di mostrarle invece le rende potenti. Ad esempio l’espediente di mostrare il presente motivando ogni azione con la consapevolezza degli eventi futuri, che io stesso ho spesso criticato aspramente, in questa sede e con questi modi diventa una scelta audace e appagante, perchè Bellocchio e Ciprì creano senso intorno a quest’idea attraverso una messa in scena in grado di parlare.
E dico “Ciprì e Bellocchio” perchè la fotografia, una volta tanto, non è solo una meravigliosa serie di scelte esteticamente fulminanti ma anche una serie di invenzioni di composizione, armonia e movimenti di macchina che rendono ogni sequenza un gioiello di grammatica cinematografica. Sempre originale, sempre affascinante, sempre intrigante.
Per fare dei paragoni c’è la bellissima scena del duello, ancora una volta di spada come in L’Ora di Religione.
Purtroppo però dopo la narrazione dei fatti viene la narrazione dei sentimenti e quei momenti sono decisamente meno riusciti, meno dinamici e più ripiegati su un linguaggio stantio e risaputo. Vincere riesce a raccontare decisamente meglio e anche con più coinvolgimento emotivo lo svilupparsi della storia (titanico in questo senso Timi) che lo svilupparsi dei sentimenti. Volendo dividere le sequenze in maniera netta (quelle che portano avanti la trama e quelle che raccontano le emozioni dei personaggi) succede che le seconde siano nettamente svantaggiate, poco convincenti e anche noiose.
Sembra riuscire davvero a dire qualcosa solo quando mostra come il modo di pensare mussoliniano che contagia la sua famiglia non riconosciuta (tutti parlano per slogan come quando Ida dice: “O lui o nessuno!”) sfocia inevitabilmente nella pazzia. Loro nel manicomio lui sul balcone di piazza Venezia.
Se non fosse per una colonna sonora molto particolare, incalzante e poco italiana che mette una pezza tanti momenti potrebbero davvero risultare sconfortanti. Alla fine invece il risultato complessivo è buono, cosa che però, date le premesse, rimane comunque un peccato.
Ha qualche chances di portare a casa un premio? Lo meriterebbe? E’ così che si dovrebbe rileggere la nostra storia? A partire cioè da storie ed eventi particolari? Qui gli altri pareri