Fast forward di qualche anno da Star Trek IV, e ci troviamo in piena era Next Generation, la serie che ha resuscitato la franchise televisiva di Trek. Nuovo equipaggio – con in testa il Capitano Jean-Luc Picard (Patrick Stewart) – e nuova Enterprise (la D), per una serie più complessa e molto meno solare dell’originale. La transizione al cinema avviene, dopo la fine dell’ultima stagione televisiva, proprio con Generazioni (1994), che segna un cruciale passaggio di testimone tra vecchia e nuova timeline.
La pellicola (diretta da David Carson) inizia infatti con il viaggio inaugurale dell’Enterprise-B, prima nave della Flotta a portare questo nome da quando Kirk e soci si sono ritirati dall’esplorazione spaziale. Ma il buon capitano non rinuncia – pur se roso dalla nostalgia e dall’invidia per i giovani cadetti e le avventure che li attendono – a fare un’ultima visita alla sua amata ammiraglia, nel giorno del viaggio inaugurale. Insieme a lui, Scotty e Chekov indossano i loro migliori sorrisi di circostanza davanti a una pletora di giornalisti impiccioni. Ma poi qualcosa va storto: uno strano fascio di energia incrocia la strada dei nostri e risucchia Kirk nel nulla, lasciando basiti i suoi compagni.
Da qui ci spostiamo nel 24° secolo, per incontrare Picard e soci, che dovranno affrontare la minaccia di Soran, uno scienziato pazzo (Malcolm McDowell) alleatosi con i Klingon per ritornare nel Nexus (la famigerata stringa di energia), un luogo dove i sogni di una vita perfetta diventano realtà, e la sofferenza non esiste. Lì è finito anche Kirk, e Picard dovrà chiedere il suo aiuto per fermare Soran e i suoi folli piani di distruzione.
E’ con una discreta dose di nostalgia che guardiamo l’ultimo campo lungo dell’Enterprise-B: in lontanza, Chekov e Scotty sembrano dirci addio, e con loro una buona fetta della televisione e del cinema americano moderno. Ma è una mossa intelligente quella di mostrare il passaggio di testimone nel film, invece di darlo per scontato. Così come, sulla carta e per buona parte del film, è una bella idea quella di far incontrare i due capitani della nave.
Peccato che poi il tutto si risolva in uno scontro finale col cattivo di turno un po’ deboluccio: tanto clamore per poi risolvere tutto a calci e pugni su un ponte sospeso mi pare francamente troppo. E la morte di Kirk sarà per sempre riconosciuta come la nuova definizione del termine “deludente”: in pratica Kirk cade dal suddetto ponte e spira dopo un piccolo discorso. Si poteva fare di meglio, e ti credo che Shatner abbia poi tentato di resuscitare il suo personaggio in una serie di romanzi non-canonici.
Tecnicamente poi non ci siamo ancora: la fotografia, la regia e gli effetti speciali congiurano per lasciare l’impressione di aver assistito a un episodio televisivo gonfiato per il grande schermo.
Molto meglio l’episodio successivo, Primo contatto, diretto dal comandante Riker Jonathan Frakes. Qui si respira decisamente un’aria più cinematografica, con effetti speciali all’altezza e una minaccia stavolta davvero convincente: i Borg – arcinemici di Picard che ne fu addirittura assimilato in un episodio – mostri metà uomo metà macchina, dotati di un’intelligenza collettiva.
Ancora una volta, la trama ruota intorno a un paradosso temporale: i Borg tornano indietro nel tempo per popolare la Terra e impedire il famigerato “primo contatto”. Quest’ultimo è un evento ben noto nella linea temporale di Star Trek: si tratta del giorno in cui il pilota Zefram Cochrane testa per la prima volta un motore warp, lasciando una segnatura evidente ai computer di bordo di una nave Vulcan transitante vicino alla Terra: i vulcaniani decidono così di scendere per dare il benvenuto agli umani nella comunità galattica.
Per far sì che tutto questo possa aver luogo, l’Enterprise segue i Borg indietro nel tempo: la battaglia per la sopravvivenza della razza umana si svolge contemporaneamente sulla nave (contro i Borg) e sulla Terra, dove Riker e La Forge rivelano a Cochrane di provenire dal futuro e lo assistono in prima persona durante il viaggio inaugurale.
Quello che riesce a Primo contatto, in contrapposizione con Generazioni, è una forte suspence che tiene incollati alla sedia dal primo all’ultimo minuto. Merito delle due trame parallele, ben intrecciate. Merito degli attori – in particolare James Cromwell, che infonde al so Cochrane un accenno di codardia inaspettato e funzionale all’arco del personaggio. Merito anche, come si diceva, di effetti speciali all’ultimo grido (siamo nel 1996), che per la prima volta si servono della computer graphic per delineare le navi e le battaglia stellari. E infine va citata un’ottima fotografia, stavolta sì cinematografica, opera di Matthew F. Leonetti.
Su tutto regna poi incontrastata la semplice, ma geniale, trovata di ambientare buona parte del film nel giorno fondante di tutta la mitologia trekkiana. Con annesso messaggio di speranza nel futuro che, di questi tempi, non fa mai male.