Regia: Jeff Wadlow
Cast: Sean Faris, Amber Heard, Cam Joslin Gigandet, Djimon Hounsou, Leslie Hope
Durata: 110 minuti
Anno: 2008
Un ragazzo appena arrivato in città entra in contatto a scuola con un gruppo di ragazzi di classe sociale superiore alla sua e malati delle arti marziali miste, si innamora della ragazza del più forte che gliele suona pure e poi dopo essersi allenato in una palestra con un maestro europeo lo affronterà in un torneo. E questo è Karate Kid.
Un ragazzo apparentemente tranquillo con una latente propensione alla violenza scopre che nella scuola dove si è trasferito vengono praticate clandestinamente le arti marziali da un circolo di ristretto di ragazzi facenti capo ad una figura più esperta e fascinosa che trascina anche il protagonista nella spirale di violenza liberatrice dei combattimenti. I due condividono una ragazza e inevitabilmente si scontreranno alla fine. E questo è Fight Club.
Never Back Down incrocia le due tematiche fondamentali dei film elencati dando vita ad una trama che è nuova solo a livello teorico per adattare il mito eterno dell’underdog e dell’uomo “che ce la fa” all’americana, dove c’è l’apprendimento di una cultura altra (l’insegnante o più anziano o di un altro paese), la maturazione interiore, la sconfitta propedeutica alla vittoria finale e la conquista del premio con relativa trasformazione finale del cattivo in buono.
In più però Never Back Down ad un certo punto sembra poter andare a parare altrove. Ci sono delle sottotrame che non si capisce come mai rimangano appese nonostante il fascino. La storia del fratellino più piccolo del protagonista che, in una famiglia dove il padre è morto vede in lui il modello e sembra volerne seguire la strada violenta nonostante il suo sport sia il tennis, poteva essere una gran bella storia parallela, ma dopo averla accuratamente preparata è come se il regista se ne dimenticasse di colpo.
Lo stesso vale per il ruolo dell’insegnante, più caratterizzato di Mister Miyagi e ricalcato (sembrerebbe) sul protagonista di Redbelt (film dal quale sembra presa anche la filosofia di fondo del “c’è sempre una via d’uscita”) eppure incapace anch’egli di fare l’ultimo passo e diventare personaggio vero, rimanendo figurina.
Per il resto le botte ci sono, le donne anche e pure una certa critica sociale al voyeurismo da internet (tutti i combattimenti sono ripresi e mandati continuamente su YouTube che è lo strumento principale attraverso il quale si diffonde la fama dei combattenti) che fa abbastanza ridere.
Se Karate Kid aveva più coraggio nel mostrare un vero emarginato che riesce nell’impresa (qui il protagonista è bello, muscoloso, vincente e non sbaglia un colpo), Fight Club aveva tutto un altro afflato nell’esaminare le radici e il ruolo della violenza.