21 grammi (21 Grams, Usa 2003 – Drammatico; 125′) di Alejandro González Iñárritu con Sean Penn, Benicio Del Toro, Naomi Watts, Charlotte Gainsbourg, Clea DuVall, Danny Huston, Marc Musso, David Chattam, Melissa Leo.
Jack Jordan, ex delinquente oggi invasato religioso, investe e uccide il marito e le due figlie di Cristina Peck; il cuore del morto, donato, salva la vita al terminale Paul Rivers, la cui moglie vuole a tutti i costi un suo figlio. Ma Paul, volendo scoprire da chi ha ricevuto una nuova vita, conosce Cristina e se ne innamora, ricambiato: e di comune accordo decidono di eliminare Jack, il quale, nel frattempo, si è costituito e ha perso il suo credo.
Al secondo film-mosaico, girato a Hollywood, i meccanismi dello stile di Iñárritu sembrano già incepparsi: la casualità imprevedibile della vita e le riflessioni attorno a essa esplicitate dalla sofferta sceneggiatura di Guillermo Arriaga (è stata riscritta più di trenta volte e come Amores Perros ruota attorno a un incidente stradale) sono servite dal solito montaggio frammentato che spezza la linearità e la cronologia della storia, ma stavolta non solo è poco necessario e vezzoso ma forse addirittura nocivo, mentre anche la fotografia sgranata e ferruginosa e le riprese instabili effettuate con camera a mano, pur restituendo il nervosismo esistenziale dei personaggi e delle vicende, non contribuiscono a creare un reale pathos. Certo, il talento visivo e la bravura nel manipolare temi da tragedia greca sono innegabili e ancora riescono a supportare il tutto, garantendo momenti di assoluto coinvolgimento emotivo e tocchi lancinanti: ma dietro alla confezione sottilmente ricattatoria (si senta il discorso finale di Paul in voice over), c’è già un alto tasso di maniera e la passione del regista non è sempre così credibile. Aiutato da attori straordinari (e straordinariamente diretti, bisogna dirlo, tanto da risultare finanche antipatici per la troppa bravura) e da una colonna sonora non così dozzinale come potrebbe apparire, il film riesce anche ad addentrarsi dentro psicologie tormentate (fin troppo, ma c’è da dire che l’eccessivo concatenarsi di drammi non è quasi mai fastidioso o presupponente) ma, infine, non approda ad alcunché di istintivo, di originale, di realmente penetrante e si accontenta di cullarsi in una messinscena che vorrebbe rendere tutto definitivo e irripetibile. I suggestivi ventuno grammi del titolo sono quelli che perderemmo nel momento del trapasso, ovvero il peso dell’anima (come recita un sottotitolo optional).