Watching the Watchmen – parte 1

Watching the Watchmen – parte 1

Di Marco Triolo

Benvenuti, cari lettori! Questo post vuole essere il primo di una serie di approfondimenti sul fumetto Watchmen: l’idea è di creare un percorso in 12 tappe – quanti sono i capitoli del graphic novel – che ci conduca direttamente a marzo e all’uscita del film nelle sale. In ogni “episodio” affronteremo uno o più temi legati al fumetto, dal concetto di realtà parallele ai simboli ricorrenti nell’opera. Ci sarà anche spazio per post dedicati interamente a ciascun personaggio del cast. Ma prima di tutto, è necessaria un’introduzione…

E’ curioso come Watchmen di Zack Snyder, in uscita a marzo, sia spesso paragonato a Dark Knight di Chris Nolan, come zenith e punto di svolta nel mondo dei fumetti al cinema. E questo può essere affermato anche senza aver visto il nuovo film del regista di 300, poiché già dai trailer è evidente tutta la dedizione e le risorse spese nel progetto, ma soprattutto è lampante l’ambizione che questo film porta con sé.

E’ curioso, dicevamo, perché se The Dark Knight ha segnato un passo avanti e un traguardo per i cinecomics – cioè l’aver convinto anche i più scettici che è possibile realizzare un film “adulto” tratto da un comic book – il fumetto ha raggiunto questo traguardo da circa una ventina d’anni. Da quando cioè DC Comics pubblicò, in piena era reaganiana, due capisaldi del fumetto moderno: il primo fu Il ritorno del cavaliere oscuro di Frank Miller. L’altro fu, come avrete già intuito, Watchmen.

Creato da Alan Moore e Dave Gibbons e pubblicato in una serie di 12 numeri tra il 1986 e il 1987, Watchmen segnò uno scarto rivoluzionario rispetto alla produzione dei comics statunitensi, ed è diametralmente opposto anche al Cavaliere oscuro di Miller, poiché procedeva ad una sistematica smitizzazione della figura del supereroe – laddove Miller proseguiva un discorso sul supereroe molto canonico, anche se inserendolo in un contesto atipico come quello della vecchiaia.

Non solo Watchmen demitizza quindi gli eroi dei fumetti, presentandoli come stanchi e sfiduciati 40enni (Nite Owl), giustizieri squilibrati (Rorschach, il Comico), o semidei insensibili alla sofferenza umana (Dr. Manhattan), ma arriva a de-strutturare le regole stesse del classico universo supereroistico, in cui generalmente i vigilantes mascherati sono accettati e benvoluti dalla comunità. In Watchmen, invece, un decreto approvato nel ’77 (il Keene Act) pone gli eroi fuori legge, col risultato che la maggior parte di essi si sono ritirati, altri sono stati impiegati dal governo, mentre chi ancora è in attività viene ricercato dalle autorità. Ne consegue un mondo in cui i supereroi non sono più un esempio per le persone, ma nemici da denunciare alla polizia. Un mondo in cui nemmeno i fumetti parlano di eroi mascherati, perché questi non rappresentano un ideale per i giovani e perché, essendo reali e non dei parti della fantasia, non funzionerebbero come evasione dalla realtà.

Da qui l’estremo realismo di Watchmen: un universo parallelo ma plausibile, in cui la presenza degli eroi ha effettivamente alterato la realtà: il super-potente Dr. Manhattan non solo ha permesso agli USA di vincere in Vietnam, ma ha anche creato fonti di energia pulite e in generale ha fatto avanzare la scienza di almeno 50 anni. Il realismo si traduce anche nei disegni di Dave Gibbons, che utilizza per le tavole una griglia molto rigida – 3 strisce con 3 vignette di identiche dimensioni, nella quale hanno spazio anche vignette più grandi, multipli di quelle di base – in cui non compaiono mai gli effetti sonori.

La genesi di Watchmen

Watchmen nasce principalmente dal desiderio di Alan Moore e Dave Gibbons di lavorare insieme su un progetto per la DC Comics, la casa editrice di Batman e Superman. Inoltre, era intenzione di Moore creare una sorta di “Moby Dick dei supereroi”, qualcosa che trascendesse il medium e soprattutto il target d’età a cui era solitamente associato. Il concetto iniziale sviluppato dall’autore fu quello di utilizzare un pantheon di personaggi esistenti e sospesi nel limbo dell’editoria – inizialmente i supereroi della Archie Comics. Moore aveva già in mente l’incipit: il vecchio eroe The Shield sarebbe stato trovato morto, e gli altri giustizieri sarebbero tornati in attività per trovare il colpevole.

Poco dopo, l’editore capo della DC Dick Giordano suggerì a Moore di utilizzare gli eroi della Charlton Comics, che la DC aveva appena acquistato. Ma le idee dell’autore si rivelarono troppo estreme, perché l’autore aveva in mente di eliminare alcuni personaggi e cambiare totalmente lo status quo del loro universo. Ma il pantheon Charlton era stato a poco a poco inserito nella continuità DC, per cui lo stesso Giordano suggerì a Moore e Gibbons di utilizzare personaggi nuovi.

E Moore, che ormai aveva familiarizzato con i character della Charlton e li riteneva perfetti, creò una schiera di nuovi giustizieri mascherati ispirandosi proprio ad essi: perciò Captain Atom divenne il Dottor Manhattan, Blue Beetle generò Nite Owl e Rorschach risultò dalla fusione di due personaggi del mitico Jack Kirby, The Question e Mr. A.

La trama si andava delineando nella mente di Moore: l’idea dell’incipit con la morte di un vecchio eroe – il Comico – rimase, ma divenne solo la “punta dell’iceberg” di una cospirazione dalle proporzioni globali, che Rorschach e Nite Owl avrebbero scoperto quasi per caso, nel corso delle loro indagini.

Chi controlla i controllori?

Vero e proprio romanzo a fumetti, Watchmen usa – come la migliore science fiction – il reame del fantastico per parlare della nostra società. In questo caso, potremmo dire in generale che si tratta di una riflessione sulla natura bellicosa degli uomini, e sulla tendenza dei governi e degli organi di potere di cavalcare la paura delle masse per favorire i propri interessi. “Who watches the Watchmen”, la frase che appare lungo tutto il graphic novel e che funge anche da frase di lancio del film, sintetizza accuratamente il tema in questione. L’espressione è “rubata” alla satira Contro le donne di Giovenale, e può essere riferita non solo al governo degli USA, ma anche agli stessi eroi in costume. Più che benefattori disinteressati, essi sono descritti come individui frustrati e in preda a manie di protagonismo, che somministrano una legge sommaria credendo di essere nel giusto.

Watchmen va quindi oltre la semplice riflessione sul medium fumetto, per diventare in senso più ampio una riflessione sulla storia e sull’umanità intera. Moore mantiene lo spunto iniziale, ma lo utilizza per parlare d’altro: la natura umana, i labili confini tra bene e male, tra giusto e sbagliato e l’ambiguità del concetto di morale.

Nel prossimo post parleremo del concetto di universo parallelo e di come si applica a Watchmen.

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