Arancia meccanica (A Clockwork Orange; GB 1971 – Drammatico; 133′) di Stanley Kubrick con Malcolm McDowell, Patrick Magee, Adrienne Corri.
Dal romanzo di Anthony Burgess: Alex, capo di una banda di teppisti denominati drughi, viene tradito dai compagni e catturato dalla polizia. Sceglierà una speciale cura a base di film violenti per poter uscire di prigione, ormai nauseato da ogni tipo di violenza; le subirà lui stesso e tenterà di suicidarsi. Ma alla fine “guarisce”.
Capolavoro di allarmante attualità. Il film, amarissimo e profetico, è un apologo sulla violenza sia individuale che sociale, una sorta di parafrasi delle disavventure di un cinico “eroe” romantico ottocentesco. Mostra come la follia pura di un ragazzo non debba essere più detestabile di quella che la società impone ai suoi individui, soltanto perché più palese. La pericolosa ambiguità del personaggio e della storia serve proprio a questo: a non far capire e far coincidere i due tipi di violenza. Semmai tra le due è quasi migliore la violenza istintiva del singolo. Enzo Natta di Famiglia Cristiana ha giustamente osservato che il film è “un trattato teologico sul libero arbitrio”. Dal punto di vista formale e stilistico, è uno dei film più raffinati di Kubrick per le invenzioni visive e per le idee per cui è diventato subito un cult immerso in pieno nella cultura anni 60-70. Scioccò il pubblico degli anni ’70, tanto che in patria fu proibito e ritirato da Kubrick stesso e in tv in Italia non si è mai visto (in Gran Bretagna è stato trasmesso per la prima volta il 13 ottobre 2002, in seconda serata su Channel 4). Per Malcolm McDowell (doppiato da Adalberto Maria Merli), strepitoso, ha rappresentato il ruolo della vita. Rieditato nel 1998 in Italia, non in lingua originale.