L’uomo che non c’era (The Man Who Wasn’t There, Usa 2001 – Noir; 116′) di Joel Coen con Billy Bob Thornton, Frances McDormand, Michael Badalucco, James Gandolfini, Scarlett Johansson, Katherine Borowitz, Tony Shalhoub, Jon Polito, Richard Jenkins, Adam Alexi-Malle.
Mesto barbiere in una cittadina di provincia, Edward Crane si lascia convincere da un piccolo mentecatto a investire diecimila dollari nella creazione di una redditizia lavanderia a secco: ma non ha i soldi e, senza sapere a cosa sta andando incontro, decide di ricattare quello che crede sia l’amante di sua moglie.
La storia di un americano medio che tenta la fortuna ma viene punito dalla società puritana in cui vive, e ancora prima dai propri sensi di colpa che questa gli ha instillato da sempre: questa la morale di un film (scritto da Joel ed Ethan Coen e Palma d’oro per la miglior regia a Cannes, ex aequo con quella di Lynch per Mulholland Drive) dall’intreccio contorto come in un noir degli anni ’40 (la fonte di ispirazione sono i romanzi di James M. Cain). I fratelli Coen ormai da tempo hanno smesso di fare un cinema divertente per intellettuali e di provare gusto a dirigere film e, invece, da divertiti intellettualoidi sempre più seriamente convinti di sé stessi, propinano un’opera ondivaga e anestetica che non regala uno straccio di emozioni, enfatica (difficilmente sopportabile, alla lunga, la voce off del cane bastonato Thornton, che – sigaretta perennemente in bocca – vorrebbe somigliare a Bogart) e ammantata da una prodigiosa fotografia in bianconero (di Roger Deakins, ricca di sfumature e di dettagli, come i pur interessanti personaggi) che sa più di fredda cinefilia che di omaggio a un’altra epoca. Lo spettatore spera sempre in un repentino colpo di genio, che però stavolta non arriva: e non è davvero il caso di cercare agganci simbolici (forse il maccartismo e il clima di persecuzione, pare di intuire) o metafore della vita (sprecata la buona idea dei capelli). Resta una delusione corrusca e luccicante, formale e sterile fino all’eccesso, che si permette il lusso di buttare alle ortiche sequenze e personaggi degne dei veri Coen (il ralenti dell’incidente con la ruota che continua ad avanzare, il maestro francese di pianoforte, il racconto dilungato perché – si scopre alla fine – il protagonista che scrive e narra la vicenda è pagato a parole). E dispiace molto vedere da loro scene come quella – davvero ridicola e inutile – della fellatio: molto valido, invece, il finale di sconfitta, in cui il perdente protagonista fa i conti con la sua vita e con ciò che lo aspetta; peccato che, al solito, ci sia troppa poca sincerità dietro alle immagini e alle parole. La McDormand è la moglie del regista dal 1984. Titolo di lavorazione: The barber project. Co-montato sempre dai due fratelli, con l’abituale pseudonimo comune di Roderick Jaynes. Bello il titolo da interpretare variamente (forse Ed, visto il tributo metalinguistico al noir, è un uomo da film, che nella realtà degli anni ’40 invece non c’era). Girato a colori ma stampato in bianconero.