Sbandierato come un film medio, o così e così, da chi l’ha visto a Venezia Sogni e Delitti si rivela il pezzo da maestro che doveva essere, confermando come i film di Woody Allen ci mettano sempre di fronte al miglior cinema possibile.Sulla strada di Match Point ma più in là per gusto, abilità e agio nel raccontare una storia drammatica con risvolti thriller il nuovo film di Woody Allen corre sempre sul crinale tra dramma e grottesco, potrebbe sconfinare mille volte nella farsa o nella parodia del genere, alle volte basterebbe anche solo un lume fatto cadere per sbaglio in più, e invece non lo fa.
Scritto con la consueta abilità e complessità Sogni e Delitti racconta per la prima volta nel cinema di Woody Allen una storia di una famiglia umile in maniera seria. Certo c’è uno zio ricco e una fidanzata inserita nel giro che conta che garantiscono ad Allen un bel po’ di scene da upper class (sospiro di sollievo!) ma il cuore della faccenda, i due fratelli, è una storia di scalata sociale (come Match Point) e di criminalità data dalla necessità (come Match Point), di perdizione per la passione torbida provata per una donna attrice (come Match Point), di delitto e castigo (come Match Point), in un mondo dove a dominare è il caos e il caso (come Match Point).
Sogni e Delitti è indubbiamente un film d’altri tempi, c’è tutto il cinema classico, dall’uomo che nasconde in sè sempre un potenziale omicida (Lang), al confronto interiore con il divino (Rossellini, Bresson), fino chiaramente all’ironia anche nel dramma (Hitchcock). Ma dopo la visione di Sogni e Delitti la cosa che più acquista senso è Match Point, ora inscritto in un filone più definito, i cui intenti e la cui visione di mondo sono più chiare perchè reiterate in questo film (a esempio il vestito, i toni e la parlata di Hayley Atwell sono praticamente gli stessi di Scarlett Johansson e sono quindi la cifra della dark lady tutta particolare di Allen).
Se nel film precedente era uno l’elemento del caso che decideva le sorti della storia, qui il caso agisce senza regole e di continuo. Tutti i colpi di scena sono sempre frutto della fortuna o della sfortuna dando l’idea che i protagonisti controllino veramente poco della loro vita nonostante le forti decisioni che prendono.
Con un’attenzione maniacale ma incredibilmente sempre diversa per le immagini, Allen fotografa il suo ultimo film con la solita profondità di campo (incredibili le prospettive che riesce a dare alla città, specialmente per come prende i palazzi sullo sfondo), indugiando più del solito sui protagonisti stretti nelle inquadrature, mirando a connotare i due fratelli prima di tutto esteticamente nelle loro diversità (tuta da meccanico contro camicia e giacca) ma soprattutto nelle loro uguaglianze (incredibile come in certi punti sembrino davvero fratelli!), e raccontando il dramma senza indugiare sui particolari trucidi (la morte avviene sempre fuori campo, per negazione).