L’età barbarica ma semplicemente fantastica

L’età barbarica ma semplicemente fantastica

Di Smeerch

L’età barbarica (poster)

L’età barbarica
(L’âge des ténèbres)

di Denys Arcand (Canada, 2007)
con Marc Labrèch, Diane Kruger, Sylvie Léonard, Caroline Néron, Rufus Wainwright, Macha Grenon, Emma De Caunes, Didier Lucien, Rosalie Julienne, Jean-René Ouellet, André Robitaille, Elizabeth Lesieur, Chantal Lacroix, Pierre Curzi, Hugo Giraux, Thierry Ardisson, Pauline Martin, Bernard Pivot, Laurent Baffie, Johanne-Marie Tremblay, Veronique Cloutier, Gilles Pelletier, Donald Sutherland

Film dell’anno. E credetemi se dico che non sto esagerando. Dipendesse da me, darei un altro premio Oscar a Denys Arcand – che già lo vinse nel 2003 per il suo precedente piccolo capolavoro dal titolo Le invasioni barbariche.
Film misurato eppure eccezionale. Pienamente riuscito nel suo essere…

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semplice e naturale. La storia è quella di un uomo normalissimo, Jean Marc-Leblanc: un’impiegato di mezz’età dell’amministrazione provinciale del Quebec. Il perfetto uomo qualunque canadese. Ma potrebbe benissimo rappresentare l’italiano medio, il francese medio, l’americano medio, e così via. Un essere perso nella sua esistenza, infelice, che non riesce a trovare nella sua vita un motivo per gioire, schiacciato com’è tra solitudine, indifferenza, egoismo, menefreghismo, frustrazioni. Sua moglie, agente immobiliare più che affermato, lo trascura per dedicarsi alla carriera. Risultato: i due non parlano e non fanno sesso da oltre un anno e mezzo. Le figlie teenager lo ignorano, prese come sono da telefonini, lettori mp3 e videogames. Sua madre anziana, ormai in fin di vita, è chiusa in una clinica. Il capufficio (impiegata manager sui trentacinque anni – in odore di frigidità) lo maltratta. Gli unici volti amici sono due colleghi: uno ‘negro’ (non ‘nero’, né ‘di colore’, né afroamericano’) e una lesbica.
Le via di fuga che gli restano sono una sigaretta, fumata di nascosto con la complicità dei colleghi e l’autoerotismo, durante il quale si tuffa in improbabili momenti erotico-onirici. Lunghi attimi in cui sogna di essere un politico di successo, uno scrittore affermato, un potente imperatore romano, ecc.

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Mi ha rallegrato vedere la spietata critica che Arcand fa ai corsi di autostima, quelle terapie di gruppo in cui un team di mentecatti cerca di sentirsi meglio attraverso una catarsi collettiva, alle serate ad incontri del tipo ’speed-date’, ai giochi di ruolo (come i ritrovi per nostalgici del medioevo) e alla ridicola legislazione che ha abrogato l’uso di termini politicamente scorretti.
Commedia amarissima in cui la società moderna viene messa a ferro e fuoco attraverso una descrizione precisa ed iper-realistica. Di meglio non ci si poteva aspettare. La sensazione è quella di vedere sullo schermo una drammaticità estrema che solo il quotidiano riesce a dare. Nessuna edulcorazione, nemmeno per la tecnica registica che, con grande maestria, si attiene all’essenziale. Persino nel trattare l’aspetto onirico – che occupa gran parte dello spazio temporale della pellicola – il regista non eccede in inutili barocchismi. Si veda, inoltre, il dolore rappresentato nudo e crudo nella scena in cui la madre del protagonista viene sottoposta ad una terapia intensiva. Il racconto patinato è lontano anni luce. Ripeto: ne L’età barbarica ci viene mostrato giusto lo stretto necessario. Ed è fantastico. C’è solo da ringraziare per questo.
Non manca qualche sapida frecciatina ironica ai cugini statunitensi: confronta la scena della doccia.

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Sulla bravura dell’intero cast sorvolo. E’ chiaro che l’intera squadra di attori, sotto la regia di Arcand, ha saputo dare il meglio di sé. Nessuno gigioneggia, né va sopra le righe. Il migliore di tutti, comunque, risulta essere il protagonista, Marc Labrèche, che, grazie alla sua mimica facciale, si rivela una faccia più che azzeccata per il personaggio dell’uomo qualunque.
Pellicola circolare. Si apre con un sogno in cui un cantate lirico esegue l’aria di un’opera e si chiude in egual maniera, anche se – ovviamente – con sentimenti diversi nell’animo del sognatore. Non vi rovino la sorpresa se vi dico che “L’età barbarica” è un film di espiazione. Vediamo la discesa agli inferi di un essere umano e la sua risalita.
Fotografia che appaga la vista. Nello specifico, ho trovato molto affascinanti le scene in esterna, soprattuto quelle girate per strada, nella via di fronte la casa del protagonista. Ho gioito nel vedere la camera allargare l’inquadratura, raccogliendo tutta la luce diffusa che solo il cielo di un paese settentrionale come il Canada sa dare. Mesto, grigio e seducente nell’accecarti. Stesso concetto per le ultime battute del film, girate sulle deserte spiagge del nord; immagini capaci di trasmettere sapientemente freddo e desolazione.

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Nota polemica sul titolo italiano del film.: che bisogno c’era di metterci l’aggettivo ‘barbarico’? Non lo si è fatto, forse, solo per portare maggior gente nei cinema, ricordando agli spettatori distratti che questa pellicola è diretta dallo stesso regista de “Le invasioni barbariche”? Tradurre “L’eta delle tenebre” non andava bene lo stesso? Mi chiedo se è giusto stravolgere il titolo di un film quando, invece, questo dovrebbe essere considerato parte integrante e fondamentale della stessa opera.
L’età barbarica arriverà nelle sale italiane venerdì prossimo, 7 Dicembre, distribuito dalla Bim Distribuzione.
Qui il trailer italiano del film.

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