Il caso Thomas Crawford
(Fracture)
di Gregory Hoblit (Usa, 2007)
con Anthony Hopkins, Ryan Gosling, David Strathairn, Rosamunde Pike, Embeth Davidtz, Billy Burke, Cliff Curtis, Bob Gunton.
Questo film è sostanzialmente un legal thriller. C’è il (tentato) omicidio, c’è il processo, la disperata ricerca delle prove, c’è il dualismo killer vs. avvocato. Se vi piace il filone credo che lo apprezzerete.
Le peculiarità su cui mettere l’accento sono sostanzialmente due.
1. Il rampantismo del co-protagonista (interpretato da Ryan Gosling): un giovane avvocato stufo di avere un piccolo ruolo nell’ufficio del procuratore generale che…
… vuole fare il salto di qualità, andando a lavorare per un prestigioso studio legale di Los Angeles.
2. Il colpo di scena finale, senza il quale tutto l’impianto del film non reggerebbe. Su questa premessa si impernia tutto il dualismo tra lavorare per lo stato nel campo del penale con lo scopo di difendere le vittime dei sopprusi o spostarsi nel dorato mondo degli studi legali dove si guadagnano tanti soldi, occupandosi anche solo di cause civili e/o amministrative.
Un appunto va fatto alla morale, alquanto scontata e un po’ banalotta. Si, insomma, il ragazzo è pieno di ambizione, egoista, tutto incentrato su di sé. Poi le difficoltà pian piano gli fanno cambiare idea; diventa cioè quasi umano, inizia ad avere un anima, un cuore, finisce per preoccuparsi per gli altri. Vedi il modo in cui – inspiegabilmente – si affezziona alla moglie del killer, la vittima in coma.
Domanda: la trasformazione del personaggio da egoista ad altruista è un punto a favore nel processo di formazione del personaggio? O qualcosa che depone contro di lui? No, perché secondo me è sin troppo semplice diventare buoni e mostrare il proprio buon cuore quando degli agenti esterni ti impediscono di realizzare i tuoi sogni di gloria e di dare sfogo al tuo gigantesco ego. Non vi sembra un po’ la favola della volpe e l’uva di Esopo?
Del tutto fuori luogo la parentesi poetica in cui vediamo il giovane avvocato leggere dei versi alla donna ricoverata in ospedale. Una melensaggine non necessaria, perciò evitabile.
Due parole su Anthony Hopkins. Se un attore anziano, di 70 anni, recitasse sempre il ruolo del nonno canuto, bonario, saggio, portatore di buoni valori e tradizioni, di certo noi parleremmo di un topos, di un luogo comune, giusto? Hopkins invece in questo film fa il cinico. Uno anziano sì, ma spietato, vendicativo, senza cuore. Uno che ammazza e serba rancore, uno che si diverte a mettere in ridicolo i suoi avversari, che non perdona, che fa lo strafottente. Attenzione: ma non erano gli stessi valori portati da Hannibal Lecter, il cannibale de Il silenzio degli innocenti? Che abbiano dunque creato lo sterotipo-Hopkins? Lui, l’attore, macina premi su premi, grandi incassi al botteghino, stima e rispettabilità. Ma mi sa che su questo tipo di profilo stiano iniziando a calcare la mano. Ridateci un po’ di nonni bonarii.
Della sua performance recitativa in questa pellicola dico solo che gigioneggia un po’. In alcune scene fa un po’ la macchietta ma uno come lui merita sempre grande rispetto, non foss’altro per quelle due o tre volte che si fissa in un’espressione di vacuità. Perfetta. Come fa il pazzo lui… ragazzi! C’è solo da imparare.
Anche Cliff Curtis dovrebbe fare attenzione: in Die Hard – Vivere o morire fa il direttore di un ufficio governativo per la sicurezza, qui interpreta un investigatore della polizia. Forse anche lui sta rischiando di rimanere incastrato nello stesso ruolo.
Rosamunde Pike è carina? Oh si, molto. Anzi, vi dico di più: ci sta benissimo nel ruolo della donna in carriera, della giovane strafiga che si concede solo ai vincenti giovani e belli. Che sembra sciogliersi, che prova a tirar fuori i sentimenti da chioccia, che prova ad essere dolce e protettiva ma non ci riesce.
Non mi piace scrivere degli spoiler ma qui è necessario dirlo. Alla fine il suo personaggio si rivela per quel che è: un fuscello che si piega un po’ ma non si spezza. Il sexy avvocato Nikki Gardner tornerà sulla sua strada verso il successo senza guardare in faccia a nessuno.
David Strathairn è davvero un mito vivente. Uno che non si sforza affatto per recitare. il suo charme è qualcosa che non fabbricano più. Anche se qui ha un piccolo ruolo non fa rimpiangere affatto la sua eccellente interpretazione da protagonista in Good Night and Good Luck. Anzi. Ne dà una conferma. E’ sempre un gran signore, pieno di flemma, stile ed espressività. Nei panni del procuratore Joe Lobruto è credibilissimo.
Nota 1: il regista di questo film ha diretto anche diversi epidosi delle serie tv Hill Street Blues, NYPD Blue e Avvocati a Los Angeles.
Nota 2: molto valevoli le scelte per quanto riguarda le location e la fotografia. Il foyer del teatro in cui si svolge un aperitivo pre-opera lirica è semplcemente magnifico. Stesso dicasi per l’hotel in cui sono state girate le scene fedifraghe e la sontuosa casa dell’anziano killer. Il direttore della fotografia (Kramer Morgennthau) ci mette anche del suo, rendendo il tutto ancora più invitante e fascinoso.
Nota 3: la colonna sonora non si distingue per originalità. Buono un pezzo che si sente in sottofondo verso la metà del film. Una specie di brano trip-hop quasi dozzinale ma gradevole all’ascolto.
Qui trovate il trailer del film.
Il caso Thomas Crawford uscirà nelle sale italiane il 2 Novembre distribuito dalla Eagle Pictures. A produrre ci sono la New Line Cinema e la Castle Rock Entertainment – due società del gruppo Time Warner.