Nella seconda giornata del Festival Del Film di Roma arrivano altre due opere attese anche se per motivi diversi. La prima è un film che in patria ha scatenato le solite, facili e prevedibili polemiche: La Banda Baader Meinhof, che racconta la parabola di un gruppo terroristico extraparlamentare tedesco responsabile negli anni ’70 di diverse stragi e rapimenti. La seconda invece è Parlami di Me, l’esordio nel lungometraggio di Brando De Sica, per il quale tocca stabilire se sia più figlio di Christian o nipote di Vittorio.
LA BANDA BAADER MEINHOF
Vedendo il film si pensa a quante volte noi abbiamo fatto opere di questo tipo (da Buongiorno, Notte a La Meglio Gioventù) con annesse polemiche sull’immagine che diamo all’estero e quanto si possano comprendere i fatti raccontati se non si è italiani.
Uli Edel si tiene in un corretto equilibrio, non condanna in toto ma mostra l’aberrazione totale a cui arriva la banda, la lacerazione interna e la stupidità profonda di molte decisioni. Condanna in sostanza i fatti e non le idee.
Dall’altro lato però condanna i fatti ma non le idee anche della Polizia. Quindi il risultato è un racconto di una vera guerra che non sembra insensata ma anzi molto sensata e quasi necessaria, come se fosse l’unica possibile soluzione di conflitti effettivamente esistenti.
Se il flim sia poi avvincente è tutto un altro paio di maniche. La Banda Baader Meinhof è lungo (due ore e mezza) e infarcito di fatti reali da riportare con attenta fedeltà, i quali ovviamente appiattiscono la narrazione. “I film non sono come la vita” diceva Truffaut citando Hitchcock, intendendo che le tante licenze che la narrazione cinematografica si prende migliorano la fruizione, la facilitano e la rendono un vero racconto. Riportare la realtà rompe le regole del racconto (perchè i fatti non sempre si svolgono secondo climax precisi o strategie retoriche) e quindi spesso appiattisce. In questo caso annoia proprio.
PARLAMI DI ME
Si tratta della versione per il cinema dell’omonimo spettacolo teatrale portato in giro l’anno scorso da Christian De Sica. Spettacolo dalla regia di un’altra persona e scritto da Costanzo e Vaime. Il film dunque è ammorbante a dir poco ma era davvero difficile fare un buon uso di quel materiale.
Si tratta di quegli spettacoli di rivista nostalgici che rievocano sempre il passato, dove si fanno le cose di una volta (si canta Roma Nun Fa La Stupida Stasera e Frank Sinatra). Christian parla sempre del padre e cerca di venire a patti con il fatto di esserne il figlio (ma questi sono problemi suoi che qui non discuto).
Le scelte che fa Brando sono di riprendere il tutto guardando moltissimo (pure troppo, ha copiato il finale!) a Shine A Light di Scorsese e in molti punti va con le videocamere proprio sul palco, in mezzo agli attori, momenti quelli montati in maniera fluida con le altre immagini ma che chiaramente non appartengono alla tournè, probabilmente sono stati girati appositamente. La cosa è particolarmente chiara nel finale quando gli attori prendono gli applausi la videocamera va dietro di loro e si nota come il pubblico sia aggiunto in post produzione.
Il tutto però è molto televisivo oltre che molto poco interessante. Tuttavia il compito era veramente arduo per un 24enne che esordisce nel lungo e sinceramente nonostante la scialberia generale non mi sento di condannarlo.
L’unico momento dove c’è una (involontaria) lettura a più livelli è quando Christian, che tiene molto il personaggio di quello che voleva cantare ma la famiglia premeva per fargli fare l’attore, balla in maniera ridicola con un altro attore il quale dice “Se me vedesse mi’ padre…” e lui risponde “Pensa il mio”.