#venezia70, Moebius – Kim Ki-Duk ci parla della sua ultima sfida ai tabù del cinema e della società

#venezia70, Moebius – Kim Ki-Duk ci parla della sua ultima sfida ai tabù del cinema e della società

Di laura.c

kmi ki-duk moebius venezia 70

Dopo aver conquistato l’anno scorso il Leone d’Oro con il suo duro ma lirico Pietà, Kim Ki-Duk torna alla 70. Mostra del Cinema di Venezia, ma stavolta fuori concorso e con un film che osa sfidare in maniera ancora più esplicita i tabù sessuali della sua e della nostra società. Tra evirazioni, stupri, complessi edipici e forme estreme di masochismo, il suo Moebius è senza dubbio destinato a suscitare scalpore. Ecco come Kim Ki-Duk  lo ha presentato al Lido, alla stampa italiana.

Prima di tutto ci spieghi come mai questo titolo, Moebius.

Il titolo è dovuto al grande matematico che portava questo nome e in particolare al nastro di Moebius. Il film affronta infatti i concetti di famiglia, sesso e organi genitali, tutti uniti indissolubilmente come nella figura scoperta dallo scienziato. Si parla inoltre delle dinamiche che questi concetti possono scatenare all’interno di un microcosmo  familiare.

Possiamo leggere un collegamento tra il nastro di Moebius e l’eterno ritorno raccontato in “Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera”?

In realtà non intendevo inserire alcun particolare riferimento a quel film.

Da dove viene invece la scelta di eliminare completamente  i dialoghi?

Nel mio cinema non c’è quasi mai un gran dialogo, ricorderete a proposito L’isola e Ferro 3. Stavolta, però, ho tolto la parola anche ai personaggi secondari e non solo ai protagonisti. È un esperimento, ho voluto sondare una nuova idea del fare cinema, concentrandomi completamente sulle immagini anziché sulle parole.

In Moebius non si risparmiano riferimenti ai genitali maschili, è anche una critica al potere di questo sesso, alla fallocrazia?

In effetti, all’interno del film ho deciso di parlare esplicitamente di genitali maschili e femminili. È stata una mia scelta, molto precisa, dovuta al fatto che nella cultura coreana non si nominano mai, sono qualcosa di segreto e di tabù. Mi rendo conto che in Europa questi riferimenti possano dare adito ad altri tipi di interpretazione, ma il mio intento era quello di portare agli occhi del pubblico questi argomenti finora rimasti nella sfera del proibito.

Nel film, anche grazie all’assenza di dialoghi, si notano tanti piccoli dettagli, ci sono riferimenti all’arte, alcuni libri e anche un manga giapponese. Quanto sono rilevanti all’interno della storia?

Prima di girare si discute sempre molto con lo staff artistico, compreso chi si deve occupare del reperimento dell’oggettistica, ma non ho dato direttive troppo particolareggiate. Tutti questi dettagli tuttavia sono presenti e lasciati all’interpretazione dello spettatore, perché ciascuno viene colpito dalle cose più disparate e può rivestirle di significati diversi a seconda della propria sensibilità.

Alcuni passaggi del film sono stati recepiti con ilarità dal pubblico a Venezia. Cosa ne pensa di questa reazione?

Intanto, c’è da dire che qui avete visto la versione originale, mentre in Corea Moebius sarà tagliato in vari punti perché non ha passato la censura. Data la complessità dell’argomento e la delicatezza dei temi trattati, comunque, ho inserito di proposito anche passaggi più leggeri, dedicati anche al particolarissimo oggetto al centro del film. Direi perciò che tali reazioni non mi stupiscono più di tanto.

Nel film ci sono due fondamentali momenti di devozione e di preghiera, che sembrano anche richiamarsi l’un l’altro.

Sì, nella prima sequenza però non si vede il volto della persona che prega e compie l’atto di devozione davanti a un’immagine sacra, e in realtà non ha alcun legame con l’evoluzione drammatica della storia e del film. La scena nel  finale è simile, ma ha un significato molto più puntuale. Per capire meglio, bisogna dire che nella società coreana, così come credo in quella occidentale, viviamo spesso momenti di enorme tensione, di lotta e di stress profondo, che spesso sfocia nella rabbia. Queste scene hanno prima di tutto lo scopo di sciogliere queste tensioni e di annullare le sensazioni negative. Nel buddismo è molto comune l’atto della preghiera, l’abbandono di tutto ciò che è immanente e difficile, nella vita quotidiana, per trovare la libertà nell’astrazione della preghiera e nella concentrazione della meditazione.

Anche in questo film torna il binomio inscindibile tra amore e sofferenza, tra piacere e dolore. Questa volta però si declina anche fuori dalle dinamiche di coppia e arriva a toccare le dinamiche familiari.

Sono in parte d’accordo sul fatto che si tratti di un tema ricorrente nei miei film. Ci tengo però a sottolineare che nonostante la storia di Moebius si sviluppi all’interno di una famiglia, è rappresentativa delle difficoltà e delle le tensioni che si sviluppano all’interno dell’intero corpo sociale. In questa storia vedo la famiglia come una sorta di società in miniatura.

Ne L’Arco la protagonista vive una scoperta della propria sessualità, qui invece tutti i personaggi sembrano tendere all’abbandono della sessualità.

Sono tutti film che scrivo e dirigo personalmente, quindi di sicuro ci sono dei collegamenti e tutti possono trovarci tutte le connessioni possibili. Personalmente preferisco vederli come indipendenti e slegati l’uno dall’altro. Con questo film, in particolare, volevo porre una domanda precisa a me stesso e alla società coreana.

I personaggi femminili di questo film sono terribili, feroci. Ma sono così le donne coreane?

Ovviamente questo non intende essere un film su tutte le donne coreane e il cinema, in generale, non può rappresentare mai tutto l’universo femminile. Però tra le donne coreane c’è questa idea per cui se trovano il proprio uomo a tradire, una reazione violente è  più che plausibile. Forse le donne coreane di oggi sono il risultato di ciò che gli uomini coreani hanno fatto di loro in passato, ma devo ammettere che possono fare  un po’ paura.

Cosa pensa dell’incesto, a cui pure si accenna nel film?

In Corea, e a quanto pare anche qui, è capitato che Moebius fosse interpretato come un film sull’incesto. Personalmente non sono del tutto d’accordo, anche perché la scena sotto accusa è onirica. Per quanto riguarda l’incesto in sé, non ne ho certo un’idea positiva, sarebbe impossibile. Trovo comunque che siano scene che possano essere inserite in un film e temi di cui sia giusto parlare.

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Crede che la sua opera colga qualche aspetto in particolare della società coreana?

Di sicuro si tratta l’argomento del sesso, su cui ancora oggi incombono molti dubbi e molta paura, in questo senso penso che il film abbia una sua contemporaneità. Forse molti troveranno da ridire sul modo in cui ho deciso di guardare alla questione, ma lo ritengo un tema che non poteva non essere proposto. Penso di essere un termometro della società, di poter raccontare in modo esplicito ciò che ricevo e percepisco della società coreana.

Uno dei personaggi fondamentalmente si rende eunuco, una figura che dei riferimenti anche nella religione cristiana.

Gli eunuchi nella storia dell’impero coreano hanno un ruolo un po’ diverso, ma la domanda che voglio porre con questo film ha molto a che fare con la religione, in particolare col buddismo, che insegna lo svuotamento dal desiderio e dalle passioni. Quello che mi chiedo, in fin dei conti, è se  per raggiungere la pace si debba rinunciare a tutti i propri desideri.

 

Fuori competizione alla 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di VeneziaMoebius uscirà in Italia giovedì 5 settembre distribuito da Movies Inspired. Continuate a seguirci per tutti gli aggiornamenti dal Festival.

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