TV CULT – Le Serie TV che hanno fatto la storia: Buffy – The Vampire Slayer

TV CULT – Le Serie TV che hanno fatto la storia: Buffy – The Vampire Slayer

Di Andrea Suatoni

Era il 1992 quando un 28enne Joss Whedon, oggi conosciutissimo deus ex machina del MCU (marvel cinematic universe), si affacciava al mondo cinematografico con il film Buffy – The Vampire Slayer. Un film che non ebbe affatto successo, nonostante la presenza di attori come Luke Perry (sulla cresta dell’onda con il suo Dylan in Beverly Hills 90210) o Rutger Hauer, ma che fece da apripista al pilot di una serie che era all’inizio destinata solamente a riempire un vuoto di 12 episodi sul canale THE WB. L’inaspettato successo fece crescere lo show sotto numerosi aspetti, fino a farne la serie cult che è ancora oggi.

UNA SERIE SULLA METAFORA

Fin dalla prime battute, è sulla doppia lettura che la serie Buffy – The Vampire Slayer costruisce la totalità della propria narrazione. Buffy, la Cacciatrice, è un’adolescente perennemente in lotta contro demoni, mostri e vampiri; trasfigurazioni di temi quali solitudine, rimorso, depressione, odio. La lotta contro il male è in realtà intesa come crescita personale: gli elementi soprannaturali nella serie sono raffigurazioni delle ansie personali che caratterizzano il passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

In una continua e crescente serie di metafore, l’intreccio indipendente di ogni singolo episodio porta in scena una tappa spirituale fondamentale nella vita non solo dei protagonisti, ma anche dello spettatore, che pur (ovviamente) esterno ad un contesto fantasy-horror riesce sempre ad empatizzare con i personaggi.
Non solo gli anni scolastici vengono pensati e sentiti come un lungo film horror personale, ma i problemi adolescenziali che i teenager si trovano spesso ad affrontare nella vita reale vengono raffigurati con dinamiche fantasy che non ne tradiscono affatto la cruda realtà: come nel caso di una madre che riversa i propri sogni di gloria passati su una figlia non alla sua altezza (episodio 1×03: Streghe), in quello di una giovane lesbica convinta che la natura della sua sessualità sia demoniaca (episodio 5×06: La Famiglia), in quello di una ragazza che dopo aver perso la verginità con quello che sembrava un principe azzurro scopre in realtà un mostro (episodio 2×14: Un Attimo di Felicità), in quello della reazione di un genitore alla scoperta di una parte della vita del proprio figlio di cui non sospettava per nulla l’esistenza (episodio 2×22: L’inizio della Storia – Seconda Parte, in cui il parallelismo fra la negazione genitoriale della condizione omosessuale è ricalcato in maniera impeccabile sulla condizione di Cacciatrice: Joyce, la madre di Buffy, prima le intima semplicemente di “cercare di non essere più una Cacciatrice”, poi la caccia di casa).

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LA GENESI DEL GIRL POWER

Alla pari con Xena – Principessa guerriera, i cui toni, almeno all’inizio, erano quelli canonici della serialità “leggera” e spensierata, Buffy rappresenta uno dei primi reali esempi di eroe televisivo al femminile.
Il personaggio interpretato da Sarah Michelle Gellar si è guadagnato un ruolo di spicco nella storia del femminismo: il concept di base era quello di “Una donna all’apparenza completamente insignificante che si scopriva invece essere assolutamente straordinaria“, citando lo stesso Whedon, che intavolava un personale ribaltamento del clichè della bionda svampita di turno uccisa nelle prime fasi di un qualsiasi horror generico.

L’archetipo dell’eroe necessariamente mascolino, figlio di una società patriarcale che ne dà quasi per scontato il genere, viene annichilito dalla necessaria natura femminile della cacciatrice, derivante (nella mitologia interna del Buffyverse) dalla misoginia di chi per primo, trovatosi davanti alla possibilità di incanalare un potere soprannaturale in un essere umano, scelse una donna pensandola naturalmente più debole e quindi più semplice da controllare ed indirizzare.

Il Personaggio di Buffy riceve chiare influenza da eroine cinematografiche quali la Ripley della saga di Alien o la Sarah Connor di Terminator, ma diversamente da questi esempi estremizzati non rinuncia mai alla propria femminilità: la Cacciatrice è anche una cheerleader, una figlia, una compagna, una sorella, in tutte le accezioni più rappresentative e di genere dei termini. E i tentativi di imitazione, dalla metà degli anni 90 in poi, saranno rinvenibili in un numero esorbitante di produzioni, Da Streghe a Dark Angel a Dead Like Me a Tru Calling e via dicendo.

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PERLE DEL WHEDONVERSE

In un’epoca in cui il media seriale era sottovalutato e considerato un’arte minore, la sperimentazione che Joss Whedon inserisce nel suo show lascia a bocca spalancata. Alcune puntate sono girate in modo non solo completamente slegato dai toni della serie, ma anche dalla tecnica basilare standard (e non sempre a fare da complice è la natura soprannaturale e quindi versatile della serie): l’episodio 4×10: L’Urlo Che Uccide è girato dagli attori quasi completamente in silenzio, procedendo con un ritmo ipnotico e a tratti terrorizzante; l’episodio 5×16: Un Corpo Freddo vede la completa mancanza di una colonna sonora e una lunghissima scena d’apertura girata con una semplice telecamera a spalla; addirittura l’episodio 6×07: La Vita è un Musical mette in scena un vero e proprio musical con canzoni e coreografie completamente inedite.

Il più grande pregio di Buffy – The Vampire Slayer è però la perfetta e minuziosa caratterizzazione dei personaggi. Il metodo episodico seriale è sfruttato fino all’osso in una girandola di cambiamenti emotivi a livello orizzontale ma dovuti al tema indipendente della puntata che sfiora la perfezione. I rapporti fra i personaggi sono strutturati in modo impeccabile, abusando (positivamente) del tema della creazione e distruzione della famiglia allargata che Whedon riesce ad inserire in tutte le sue opere. I membri della famiglia sono (anche) quelli scelti all’infuori del legame di sangue, ed i conflitti interni che ne derivano sono (e devono) sempre essere gestiti in maniera totalmente corale.

Alcune delle trovate di Whedon giocano maliziosamente con lo spettatore, messo (volutamente) di fronte al dubbio di una pessima scrittura: gli autori mettono in scena cioè degli errori grossolani che ad una prima lettura farebbero urlare allo scandalo, per poi essere perfettamente integrati e spiegati nell’economia della vicenda. Il caso macroscopico è quello di Dawn, sorella di Buffy mai esistita nelle prime 4 stagioni (in cui la condizione di figlia unica di Buffy era stata più volte ribadita). Dawn arriva all’improvviso in una posizione da protagonista, e lo spettatore rimane sconcertato durante tutti gli episodi iniziali della quinta stagione fino alla sorprendente ed incredibilmente geniale rivelazione finale (Dawn è un’entità mistica inviata in forma umana alla Cacciatrice per essere protetta dalle forze del male).

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FIGLIO DEI MARVEL COMICS

Le influenze della passione per i mutanti Marvel su Whedon sono chiare fin dalla fase embrionale del progetto ed accompagneranno il creatore per tutta la durata dello show: Summers, il cognome di Buffy, è il cognome di Ciclope direttamente dai fumetti degli X-men, così come il carattere dell’eroina riecheggia quello di Kitty Pride; la lenta discesa verso il lato oscuro di Willow che fa letteralmente esplodere la sesta stagione rievoca invece la saga di Fenice Nera.

Ma le similitudini sono disseminate ovunque all’interno delle 7 stagioni: la dicotomia di Glory e Ben è la stessa di Thor e del dottor Blake, la perdita di controllo ed il senso di colpa di Oz verso la sua forma licantropica segue dei chiari riferimenti ad Hulk, l’Iniziativa di Riley è strutturata come un piccolo S.H.I.E.L.D. e infine la gestione delle realtà alternative (la serie mostra almeno altri 2 universi paralleli a quello canonico) ha una derivazione tipicamente marvelliana, basata sulle stesse linee guida fissate dallo scrittore Chris Claremont su cui è stato girato X-Men: Days of Future Past.

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Forte della sua passione e della pubblicità che con Buffy ne aveva fatto, nonchè del talento nella caratterizzazione dei personaggi o nella scrittura di dialoghi e situazioni farciti di humor pungente, Joss Whedon è stato scelto per portare sul grande schermo gli Avengers nei due film che li hanno visti protagonisti al cinema; anche la serie Agents of S.H.I.E.L.D. che dal primo Avengers prende le mosse è pensata dal poliedrico artista, che è ormai stato consacrato come una delle colonne portanti del MCU (almeno fino ad Avengers: Age of Ultron).

Ed è su questi lidi che dobbiamo approdare se la nostalgia di una serie come Buffy – The Vampire Slayer ci coglie, per rivivere almeno un poco la magia di quei toni e quei temi metaforici che la produzione Whedoniana non manca tutt’ora di regalare.

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