10 Cloverfield Lane – La recensione del film prodotto da J.J. Abrams

10 Cloverfield Lane – La recensione del film prodotto da J.J. Abrams

Di Lorenzo Pedrazzi

ATTENZIONE: L’ARTICOLO CONTIENE ALCUNI SPOILER MINORI SUL FILM

J.J. Abrams e la Bad Robot si fregiano di aver riscoperto il genere mistery nell’accezione di Richard Matheson e The Twilight Zone, dove l’enigma fantascientifico si palesa nella banale quotidianità dei protagonisti (e non in un futuro remoto o distopico), condizionando le loro esistenze fino a denudarne la fragilità emotiva e psicologica. Lo stesso 10 Cloverfield Lane potrebbe essere la versione estesa di un episodio di Ai confini della realtà, poiché ne riproduce la struttura tripartita: dall’apparente normalità del prologo si passa a uno svolgimento carico di tensione e mistero, per poi sfociare nel colpo di scena finale che svela la realtà dei fatti.

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Il film di Dan Trachtenberg, in effetti, si dipana in un percorso di scoperta progressiva, e soltanto l’epilogo ci offre il quadro completo della situazione. Quando Michelle (Mary Elizabeth Winstead) si risveglia in un bunker dopo un incidente automobilistico, scopre di essere prigioniera di un uomo chiamato Howard (John Goodman), che non vuole farla uscire perché sostiene che l’aria esterna sia mefitica a causa di un imprecisato attacco militare, forse chimico o atomico. La ragazza non gli crede, ma nel bunker c’è anche un altro giovane, Emmett (John Gallagher Jr.), che si è rifugiato lì dentro di proposito dopo aver assistito a una strana luce nel cielo: il punto di vista del racconto è interno a Michelle, quindi noi spettatori non possiamo sapere chi abbia ragione, ma dobbiamo affidarci esclusivamente ai suoi occhi e alle sue indagini per scoprire qualcosa di più. In tal senso, la sceneggiatura ha il merito di seminare svolte narrative lungo tutto l’arco del film, ribaltando le poche sicurezze esistenti (ci si può fidare di Howard oppure no?) e scandendo la trama attraverso i suoi mutamenti repentini. L’impiego reiterato della metonimia, inoltre, valorizza la precisione dell’intero meccanismo.

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Questa progressione non fa che alimentare il climax, e il brusco cambio di registro dell’ultimo “atto” contribuisce a tenerlo vivo, proprio nel momento decisivo in cui i thriller – per loro stessa natura – rischiano di sgonfiarsi. Ma ciò non accade in 10 Cloverfield Lane, e il merito è attribuibile all’amore di J.J. Abrams per la fantascienza, anche quando i generi si contaminano a vicenda. La costruzione della suspense è molto accurata, poiché si giova dei limiti spaziali del bunker (che comprime ansie, dubbi e conflitti in un ambiente claustrofobico) e di un cast ridotto all’essenziale, con tre soli interpreti ad animare la storia. Ogni istante può nascondere una minaccia, ogni azione può causare una reazione violenta, e il meraviglioso John Goodman – capace di oscillare con naturalezza dalla quiete alla furia improvvisa – sintetizza in sé questo senso di pericolo costante. La tensione regge bene, al punto da relegare in secondo piano alcuni snodi poco verosimili (soprattutto nel finale) e i retroscena un po’ scontati di Michelle ed Emmett, la cui caratterizzazione psicologica è solo abbozzata.

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Si tratta comunque di un film piuttosto eterogeneo, e altrettanto composite sono le sue fonti d’ispirazione. Se la storia ricorda quella di Shelter Me (un racconto di Dan Wickline e Mark Vigouroux pubblicato su Metal Hurlant, trasposto anche in episodio televisivo), molti dettagli richiamano altre opere targate Bad Robot, dal bunker apocalittico di Lost (con la canzone ossessiva e dissonante che risuona tra le sue mura) alla stazione Kelvin di Super 8, spesso presente nei film di Abrams. Naturalmente, però, il riferimento principale è Cloverfield, con cui 10 Cloverfield Lane intrattiene un legame ambiguo: non è un sequel, non è nemmeno uno spin-off, e francamente è difficile collocarli nel medesimo universo narrativo (anche perché la prima stesura del copione non aveva nulla a che spartire con Cloverfield); ciononostante, nel film abbondano gli elementi comuni, in particolare la Tagruato, i satelliti della Bold Futura e la bevanda Slusho!, al centro di molteplici campagne virali.

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Se questi collegamenti appaiono un po’ estemporanei, più interessanti sono invece le analogie tonali fra i due film. In un’epoca che tende a esasperare la soggettività, esponendola con ogni mezzo e in ogni momento attraverso le sue manifestazioni digitali, 10 Cloverfield Lane adotta la sopraccitata focalizzazione interna per collocare al centro il singolo individuo, la singola protagonista, in opposizione al “narratore onniscente” dei vecchi film apocalittici, dove la misura collettiva era predominante. Per farlo, non è necessario il found footage (soluzione adottata da Cloverfield per ottenere lo stesso risultato), ma è sufficiente calare il fruitore all’altezza delle persone normali, quelle che subiscono la crisi globale – di qualunque genere essa sia – senza capirne bene le ragioni o gli sviluppi: Signs di Shyamalan, La guerra dei mondi di Spielberg e The Divide di Xavier Gens rappresentano tre precedenti significativi, in questo discorso. Tale approccio garantisce una dialettica continua tra dentro e fuori, laddove entrambe le dimensioni si preannunciano altrettanto minacciose, e i “mostri” possono assumere le forme più disparate: talvolta l’orrore più grande scaturisce dalla banalità del male, e 10 Cloverfield Lane non manca certo di ricordarcelo.

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L’uscita italiana è prevista per il 28 aprile. Troverete altre informazioni nella pagina Facebook ufficiale.

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