Il Piccolo Principe – Il regista Mark Osborne presenta il film alla VIEW Conference

Il Piccolo Principe – Il regista Mark Osborne presenta il film alla VIEW Conference

Di Lorenzo Pedrazzi

C’è una storia molto tenera dietro alla realizzazione de Il Piccolo Principe, o meglio, dietro alla scelta di Mark Osborne di dirigere un adattamento così delicato: parliamo infatti del celeberrimo racconto di Antoine de Saint-Exupéry, vero e proprio mito per molte generazioni di lettori, peraltro caratterizzato da una forma narrativa difficile da trasporre in un lungometraggio cinematografico. Eppure, dopo un iniziale rifiuto e moltissimi dubbi, Osborne ha infine accettato di realizzare il film, ed è stato lui stesso a raccontarne le ragioni durante la 16ma VIEW Conference di Torino, la più importante convention europea dedicata alla CGI e all’animazione digitale.

Mark Osborne è sempre stato affascinato dalla stop-motion, e la sua carriera come animatore iniziò con un divertente videoclip che diresse per “Weird Al” Yankovic, famoso comico e cantante americano, qui impegnato in una parodia di Jurassic Park: il video replica alcune scene del film, proiettando Yankovic in un parco affollato di dinosauri. Le animazioni sono soprattutto in stop-motion, ma Osborne dimostra già il suo interesse per l’ibridazione di tecniche eterogenee, e infatti contamina l’utilizzo dei pupazzi con i disegni animati, ottenendo un risultato decisamente psichedelico.

Il successo del videoclip permise al regista di prestare i suoi servigi alla serialità televisiva, in particolare Spongebob, ma il suo talento emerse con prepotenza da un progetto più personale: More, un affascinante cortometraggio in stop-motion che fu candidato agli Oscar come Miglior Cortometraggio Animato, e che riflette ancora una volta l’amore di Osborne per le tecnice miste. Eccolo:

Fu però Kung-Fu Panda a proiettarlo sulle platee internazionali, garantendogli stima e riconoscimenti anche presso le grandi produzioni, e dimostrando la sua capacità di lavorare persino con l’animazione digitale. Ma vi avevo promesso una storia molto tenera che spiega il suo coinvolgimento con Il Piccolo Principe, e allora eccola: Osborne ci ha raccontato che, quando partì per trasferirsi al California Institute of Technology, la sua ragazza (oggi moglie) gli regalò la sua copia de Il Piccolo Principe come pegno d’amore, perché li unisse anche nella distanza. Quel libro è ancora tra le sue mani, e ce lo ha mostrato durante la presentazione. I suoi dubbi nascevano quindi dall’affetto particolare che lo lega al racconto di Saint-Exupéry, e dal timore di “rovinarlo” con un film che non fosse all’altezza. Alla fine, però, ha deciso di dirigerlo proprio in onore del suo affetto per Il Piccolo Principe: il lungometraggio gli ha dato l’opportunità di onorare la storia di Saint-Exupéry e creare un’esperienza cinematografica che suscitasse le stesse emozioni del libro.

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Ma come farlo? Come imbrigliare una storia del genere all’interno di un film? Osborne ha tratto ispirazione da Adaptation di Spike Jonze, scritto da Charlie Kaufman. Adaptation nacque come trasposizione del romanzo Il ladro di orchidee, ma Kaufman, messo in difficoltà dalla struttura ben poco cinematografica del libro, decise di trasformarlo in un’opera autobiografica, con se stesso nel ruolo di protagonista mentre si arrovella per adattare il romanzo. Seguendo questa traccia, Osborne ha deciso di strutturare Il Piccolo Principe come un gioco a scatole cinesi, dove la storia dell’aviatore e il suo incontro con il Principe trovano posto all’interno di una macro-narrazione: la protagonista è infatti una ragazzina che, pressata dalla madre perché sia impeccabile e abbia successo, si apre al mondo della fantasia quando conosce il suo bizzarro vicino di casa. L’uomo, un anziano pilota, le racconta la storia del Piccolo Principe e le apre gli occhi su una realtà diversa, meno pragmatica e asettica, lontana dai gioghi dell’utilitarismo e dell’affermazione individuale. Per questa ragione, Osborne ha pensato bene di ibridare due tecniche diverse, proprio come nei suoi lavori precedenti: il mondo della “realtà” (grigia, geometrica, spigolosa) è realizzato in CGI, mentre il mondo della “fantasia” (caldo, materico, variopinto) è costruito in stop-motion, fatto quasi interamente con la carta. Questo contrasto tra la fredda standardizzazone della realtà e il caos creativo della fantasia è palese anche negli ambienti: come in Mon Oncle di Jacque Tati (uno dei riferimenti principali per il film), c’è una netta distinzione tra le architetture e gli interni delle case, laddove quella della ragazzina è rigida e razionale, mentre quella dell’aviatore è ricca, imprevedibile, pregna di storia e di oggetti. Questi due mondi sono però collegati da alcuni elementi, come la celebre volpe, che compare anche nella “realtà” della ragazzina sotto forma di un animaletto di pezza (si chiama Mister Fox, e potete trovarlo su Twitter e Instagram con l’hashtag #misterfoxdoll: il regista se lo porta sempre dietro).

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Ma Tati non è l’unico riferimento illustre per il film: Osborne ha infatti dichiarato che il cinema di Hayao Miyazaki rappresenta per lui un modello imprescindibile («Volevo fare un film che Miyazaki avrebbe apprezzato»), anche per la sua attenzione alle giovani protagoniste femminili. Lo stesso Osborne voleva creare un personaggio femminile forte, pensando espressamente a sua figlia, che ora ha 17 anni e vuole fare a sua volta l’animatrice. Ma c’è spazio anche per suo figlio maschio: è lui a prestare la voce al Piccolo Principe in lingua originale.

«Nell’animazione, abbiamo solo scalfito la superficie di ciò che è possibile» sostiene il regista per spiegare il suo impulso a contaminare le tecniche e gli stili del racconto. «Con Il Piccolo Principe ho voluto forzare i limiti». Considerando il suo grande amore per lo stop-motion, gli abbiamo chiesto quali siano gli animatori del passato o del presente che lo ispirano di più, tra quelli che usavano o usano tuttora questa tecnica. Ecco la sua risposta:

Sono stato molto ispirato da… beh, mi sono innamorato per la prima volta dello stop-motion in un momento molto interessante, scoprendo la Aardman e nello specifico un cortometraggio chiamato Creature Comfort, ma nello stesso periodo ho scoperto Jan Švankmajer e i fratelli Quay. Quindi osservavo questi due universi molto differenti che ai miei occhi erano stupefacenti, e il mio obiettivo era creare un ponte fra di essi, facendo qualcosa che fosse poetico ed espressionista come i fratelli Quay e Švankmajer, ma con l’attrattiva di ciò che la Aardman stava realizzando. Credo che questi siano stati gli autori più influenti per me, oltre a Harryhausen, Starewicz e tutto quell’incredibile universo di sperimentazioni che hanno caratterizzato lo stop-motion. Quelli sono stati fondamentali. E poi c’è stato un cortometraggio tedesco intitolato Balance, dei fratelli Lauenstein, che mi ha influenzato moltissimo. L’ho trovato un film perfetto. Se non lo avete visto, recuperatelo: è straordinario.

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Il Piccolo Principe sembra voler percorrere la medesima strada di sperimentazione e meraviglia, ed è lodevole che Osborne sia riuscito a farlo con un film mainstream. Altrettanto lodevole è la presenza di moltissime donne nello staff degli animatori, nonostante siano in netta minoranza all’interno dell’industria (solo il 20% negli Stati Uniti e in Canada, nonostante esista un predomonio femminile tra gli studenti di animazione, dove le ragazze toccano il 60%: segno che la discriminazione è tuttora molto forte). Osborne è molto orgoglioso della grande presenza femminile ne Il Piccolo Principe:

Ho vissuto un’esperienza incredibile lavorando con moltissime donne di talento. In questo progetto abbiamo avuto più animatrici di quante pensavo ne esistessero!

E, per quanto riguarda la scelta di una protagonista femminile:

Sapete, per me è stato incredibile… tutto è cominciato con mia figlia, e volevo davvero creare un personaggio che rappresentasse una fonte d’ispirazione per lei, con cui potesse relazionarsi. Lo vedo con il mio stesso figlio: quando giocano insieme, non ha importanza se siano bambini o bambine, loro non pensano necessariamente in quei termini. Da un certo punto in poi cominciano a farlo, ma non quando sono molto piccoli. Sono solo bambini. Quindi non credo che un film debba avere un protagonista maschile per suscitare l’interesse di un bambino maschio.

In effetti, Osborne riassume questo concetto con una frase molto semplice ed efficace: «I make movies for human beings», ovvero “Faccio film per gli esseri umani”, lasciando intendere che ogni discorso sui “target” (bambini o adulti, ragazzi o ragazze) non conta, quando cerchi di raccontare una storia di natura universale. E Il Piccolo Principe, senza dubbio, lo è.

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Il Piccolo Principe arriverà nelle sale italiane l’1 gennaio 2016, distribuito da Lucky Red.

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