Daredevil – La nostra intervista allo showrunner Steven S. DeKnight

Daredevil – La nostra intervista allo showrunner Steven S. DeKnight

Di Lorenzo Pedrazzi

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L’arrivo di Netflix in Italia ci offre una buona occasione per tornare a parlare di Daredevil, serie capace di ridefinire il concetto stesso di “show supereroistico” grazie a una raffinatezza formale che non ha precedenti all’interno del genere, con una regia d’impronta cinematografica, un approccio maturo alla mitologia dell’eroe e una struttura narrativa aperta, come un lungo film diviso in 13 episodi.

Come già sapete, Daredevil nasce dall’accordo tra Marvel e Netflix per la produzione di quattro show ambientati tra i quartieri di Hell’s Kitchen e Harlem, a New York, dove si muovono quattro eroi metropolitani che poi si uniranno in una quinta miniserie intitolata The Defenders: oltre a Daredevil, gli altri sono Jessica Jones, Luke Cage e Iron Fist. Ebbene, alla presentazione italiana di Netflix ho avuto il piacere di intervistare Steven S. DeKnight, lo showrunner della prima stagione, chiacchierando con lui di questa splendida serie.

Per chi non lo conoscesse, Steven S. DeKnight è un produttore e sceneggiatore televisivo di grande esperienza, noto per il suo lavoro su Buffy, Angel, Smallville, Dollhouse e Spartacus, da lui creata. Marvel Television gli ha affidato la guida di Daredevil dopo l’abbandono di Drew Goddard, che ha lasciato lo show per dirigere l’ormai tramontato film sui Sinistri Sei. Goddard ha impostato il tono della serie e scritto i primi due episodi, ma è stato DeKnight a traghettarla fino alla fine, definendo i punti cruciali della trama con la sua squadra di autori, e occupandosi in prima persona anche di vari dettagli tecnici (i costumi, le scene d’azione). Ma passiamo all’intervista, che – vi avviso – contiene alcuni spoiler sulla prima stagione

Dunque, per prima cosa: potresti raccontarci come sei riuscito a mantenere in equilibrio il punto di vista di Daredevil e quello di Kingpin? Perché sono ugualmente importanti nella serie…

Sì, fin dall’inizio abbiamo approcciato la serie con l’idea di raccontare due storie diverse: quella di Matt Murdock e quella di Wilson Fisk. Volevamo esplorare il fatto che siano simili l’uno all’altro, considerando che entrambi hanno avuto dei problemi con i rispettivi padri. Volevamo mostrare che il rapporto di Matt con suo padre ha davvero influenzato il tipo di persona che è diventato, e lo stesso vale per Wilson Fisk. Matt guardava suo padre con ammirazione, mentre Wilson voleva essere esattamente l’opposto rispetto al genitore. Per noi era molto interessante avere a disposizione tredici ore per immergerci in questa storia, quindi abbiamo approfondito Matt Murdock, ma credo che siamo riusciti a esplorare anche Wilson Fisk in modo altrettanto significativo. Non credo che lo show avrebbe funzionato allo stesso modo, se non avessimo avuto abbastanza tempo per analizzare le ragioni dietro all’operato di Wilson Fisk. Aiutati dalla meravigliosa interpretazione di Vincent D’Onofrio, volevamo davvero renderlo umano, e non rappresentarlo come un signore del crimine superintelligente che punta solo al denaro. Ne abbiamo parlato molto, e ci siamo concentrati sul fatto che Wilson Fisk voglia cambiare la città, voglia migliorarla, ma i suoi metodi sono molto diversi da Matt Murdock.

In effetti, hanno entrambi le loro buone ragioni per ciò che fanno. I metodi di Fisk sono sbagliati, ma i suoi obiettivi per certi aspetti sono condivisibili.

Esatto, e questa è un’altra cosa che ci interessava: volevamo raccontare la storia di come Matt Murdock diventa Daredevil, ma anche la storia di come Wilson Fisk diventa Kingpin, e vedere come le due origini scorrono in parallelo.

È vero, perché praticamente diventa Kingpin alla fine.

Sì, quando indossa l’uniforme bianca della prigione. È la prima volta che lo vediamo così, ed è un citazione per i fan del fumetto. Sarà Kingpin da quel momento in poi.

A tal proposito, cosa ci puoi dire della tua esperienza alla regia dell’ultimo episodio? È una cosa a cui tenevi?

Oh sì, anche se per me non era fondamentale dirigere proprio l’ultimo episodio, è successo a causa della mia agenda: ero troppo impegnato per dirigerne uno nel mezzo. L’episodio finale è sempre difficile per ragioni produttive, poiché siamo alla fine della stagione, il cast e la troupe sono molto stanchi e i soldi scarseggiano… inoltre, con gli episodi precedenti, se qualcosa non funziona puoi sempre rigirare qualche scena, mentre nell’episodio finale non puoi, perché quando lo finisci tutti i set vengono smontati e tutti se ne vanno, non puoi girare nient’altro. C’è molta pressione, devi farlo bene la prima volta perché non avrai una seconda possibilità.

Quindi li avete girati tutti in ordine, gli episodi della prima stagione?

Sì.

Per quanto riguarda i fumetti, quali ti hanno influenzato di più? Oltre alla miniserie di Frank Miller c’è qualcos’altro?

Certo, la gestione di Brian Michael Bendis e Alex Maleev. Credo che fosse nei primi anni Duemila, o alla fine dei Novanta. Brian Michael Bendis – che ha scritto Alias, su cui è basato Jessica Jones – credo sia uno degli sceneggiatori di fumetti più brillanti in assoluto, adoro il suo lavoro, ne adoro la complessità. E amo il suo approccio a Daredevil, che era molto diverso: si concentrava di più su Matt Murdock, sullo studio legale e sulla città. E inoltre adoro le illustrazioni di Alex Maleev, i colori e il modo in cui lo disegnava. Guardandole, ho pensato: “Lo show dovrà avere questo aspetto”. Vincent D’Onofrio somiglia molto al Wilson Fisk di quelle storie. In effetti, loro stessi stavano facendo una versione più cruda e realistica di Daredevil.

Mi piace molto anche il fatto che Daredevil, come vigilante mascherato, non sia sovraesposto. Ci sono alcuni episodi in cui lo vediamo a malapena: ad esempio il terzo, che è molto bello ed è sostanzialmente un legal drama. Anche questo era fra i tuoi obiettivi?

Sicuramente. Anche nei fumetti, a volte, diventa un legal drama. Abbiamo parlato di approfondire ancora di più l’aspetto del dramma giudiziario, e spero che lo facciano nella seconda stagione. Per quanto riguarda la prima, non siamo riusciti a inserirlo nella storia. Mi è piaciuto molto fare quell’episodio, il terzo, in particolare quando siamo arrivati al punto in cui Matt Murdock fa la sua arringa finale: ho sempre voluto scriverne una, ed è stato fantastico. Comporta però alcune difficoltà se ci tieni al realismo. Noi avevamo un consulente legale, e una delle prime cose che ci disse fu che, dal momento in cui [il personaggio] viene arrestato fino all’effettivo svolgimento del processo, sarebbe dovuto trascorrere un anno. Allora noi gli abbiamo risposto: “E se facessimo tre settimane?” [ride], perché bisogna condensare il più possibile per la storia. Ma è stato grandioso… sai, un’altra cosa fantastica di Netflix è che abbiamo avuto la possibilità di raccontare una storia in cui Daredevil c’è ben poco. Anche più avanti, nell’episodio 8, con la storia di Wilson Fisk, non si vede mai Daredevil, e lo stesso succede quando Foggy scopre che Matt è il vigilante mascherato, in una puntata che si svolge quasi per intero nel suo appartamento. È come una relazione che si rompe, e anche lì non si vede Daredevil. Per noi era importante, perché ovviamente Daredevil è il titolo dello show, ma volevamo esplorare l’uomo dietro la maschera: non è solo un costume, Matt Murdock è persino più importante di Daredevil come supereroe.

Per quanto riguarda i personaggi, ce ne sono alcuni tratti direttamente dai fumetti, ma reinterpretati in una luce nuova. Ad esempio questi due famosi cattivi, il Gufo e il Gladiatore, che vediamo in una versione più realistica…

Con Owlsley, bisogna chiedersi se lui sia davvero il Gufo. Perché dice di avere un figlio, e nei fumetti il padre del Gufo era un investitore finanziario, o comunque aveva a che fare con la finanza. Quindi è una cosa che abbiamo lasciato sottintesa. Di nuovo, volevamo trattare la questione in modo realistico. Per quanto riguarda Melvin Potter – che, come i fan sanno bene, diventa il Gladiatore – ho sempre amato quel personaggio. Mi piace il fatto che non sia proprio un “cattivo”, è un tizio con dei problemi, e volevamo porre le basi per questa storia. Inoltre, ci tenevamo a inserire dei riferimenti ai fumetti, dove Melvin Potter ha un negozio di costumi e credo che a un certo punto fabbrichi un costume di Daredevil per un impostore. Abbiamo trascorso parecchio tempo a discutere su come Daredevil avrebbe ottenuto il costume rosso, perché non è credibile che se lo faccia da solo. È sempre un problema con i supereroi: come fa Peter Parker a fabbricarsi quel costume? [Ride] Quindi l’idea deriva dai fumetti: “E se fosse Melvin Potter a realizzare il suo costume?”. Poi abbiamo costruito il tutto a partire da lì. Abbiamo preso Matt Gerald per interpretare Melvin Potter, e ha fatto un lavoro fantastico. Si vedono piccoli elementi [nel suo laboratorio], come uno schema e le lame, oltre a del materiale con il triangolo della sua uniforme… quindi stavamo chiaramente gettando le basi per il suo futuro, e credo che un giorno diventerà Gladiatore. Ma prima, per noi, era importante cominciare a costruire un’amicizia tra Matt e Melvin Potter, così le cose sarebbero diventate ancora più interessanti nel momento in cui lui fosse diventato Gladiatore.

A proposito del costume: c’era molta attesa per l’uniforme rossa di Daredevil…

[Ride] Certo!

Tutti continuavano a chiedertelo, vero?

Infatti!

Il risultato finale è molto interessante. Come ci hai lavorato con la costumista?

Quel costume è molto complicato. È stato uno dei costumi più difficili dell’intero Universo Marvel. Una delle maggiori difficoltà è che… la maggior parte dei costumi dei supereroi coprono anche il naso, mentre questo lo lascia scoperto, e Charlie [Cox] ha dei tratti molto distinguibili. Quindi abbiamo pensato che, lasciando il naso scoperto, tutti avrebbero capito che era Matt Murdock. È una cosa che non si poteva evitare. Allora abbiamo cominciato a esplorare altre opzioni, e siamo stati molto fortunati che il concept artist che fa tutti i costumi per i film fosse disponibile per tre o quattro settimane. Credo avessero appena finito Ant-Man, e dovessero ancora iniziare il progetto successivo. Quindi si sono occupati loro del design del costume, di cui ci sono molte versioni diverse, alcune delle quali molto fighe. Alla fine siamo arrivati a questa, ma inizialmente era fatta di spandex. La Marvel però era covinta che nel nostro mondo – dato che stavamo ambientando la serie in un mondo crudo e “realistico” – avrebbe avuto più senso fargli indossare un’uniforme tattica, e io ero d’accordo. Volevamo che fosse Daredevil, ma in una versione tattica. C’è voluto tantissimo tempo per creare il costume… in realtà, più che per disegnarlo, c’è voluto molto tempo per costruirlo. E l’uniforme definitiva è arrivata letteralmente 48 ore prima dell’inizio delle riprese [dell’ultimo episodio]. Quindi non avevamo il tempo di testarla, e questo è sempre un po’ preoccupante quando sei lì sul campo e le cose cominciano a volare dappertutto, rompendosi… ma un’altra cosa che volevo davvero inserire nella storia era l’idea che – a partire dal costume nero de L’Uomo Senza Paura di Frank Miller – la sua uniforme fosse in evoluzione costante. Questa non è necessariamente la versione finale del costume. Mi piacerebbe che continuasse a evolversi, per vedere altre variazioni.

Magari con il simbolo sul petto?

Sì, in realtà abbiamo parlato molto del simbolo. Non abbiamo messo il simbolo perché stavolta lui riceve il costume prima di aver ricevuto il nome “Daredevil”. Quindi ne abbiamo discusso molto: “Ci mettiamo la doppia D? Ma nessuno lo chiama ancora Daredevil, come facciamo?” Inoltre, la doppia D… adoro Daredevil, adoro i fumetti, ma la doppia D non mi è mai sembrata molto sensata. Capisco Superman, capisco Spider-Man, persino Batman, ma la doppia D? È come dire “Beh, dobbiamo pur metterci sopra qualcosa!” [Ride].

Le scene d’azione sono molto elaborate, e molto belle. Su cosa vi siete basati per coreografarle? Il cinema di arti marziali?

Sì, quando sono arrivato abbiamo discusso molto dell’azione, e abbiamo concluso che dovesse essere in stile Jason Bourne e close quarters [forma di combattimento ravvicinata in contesti di guerra urbana, ndr], molto brutale. Volevamo davvero mostrare che Matt Murdock si stanca, si fa male… ma non si ferma, ed è questo che fa la differenza. Però sì, siamo stati molto influenzati da quel tipo di film, e volevamo che questo si riflettesse nello stile di combattimento. Ma non volevamo che fossero arti marziali pure, perché Matt Murdock è il figlio di un pugile e si è allenato nella boxe, poi viene addestrato da Stick, quindi è una combinazione di boxe e arti marziali. Inoltre, guardando al futuro, sapevamo dell’arrivo di Iron Fist, quindi volevamo che quest’ultimo fosse basato sulle arti marziali pure. Daredevil doveva essere diverso.

Vi ricordo che Charlie Cox interpreta il protagonista Matt Murdock, mentre Elden Henson è il suo amico e socio Foggy Nelson; Deborah Ann Woll presta invece il volto a Karen Page, segretaria dello studio legale di Matt nonché suo storico interesse amoroso. Wilson Fisk alias Kingpin ha invece le fattezze di Vincent D’Onofrio, mentre Rosario Dawson è Claire Temple, infermiera notturna che lavora a Hell’s Kitchen. Del cast della prima stagione fa parte anche Ayelet Zurer (Vanessa, moglie di Wilson Fisk).

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