American Horror Story: Freak Show – La recensione del primo episodio: Monsters Among Us

American Horror Story: Freak Show – La recensione del primo episodio: Monsters Among Us

Di Lorenzo Pedrazzi

freakshow-copertina

Su FX ha debuttato American Horror Story: Freak Show, quarta stagione della serie di Ryan Murphy e Brad Falchuk, che stavolta ci conduce sul viale del tramonto dei sideshow itineranti. Inutile dire che si tratta di un tramonto rosso sangue…

Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER.

Jupiter, Florida, 1952. Un’anziana donna viene trovata morta nella sua fattoria, mentre le sue figlie, Bet e Dot Tattler (Sarah Paulson) sono gravemente ferite. C’è però un dettaglio insolito: Bet e Dot sono gemelle siamesi, condividono lo stesso corpo ma hanno due teste distinte. Ricoverate in ospedale, ricevono la visita di Elsa Mars (Jessica Lange), una donna tedesca che si atteggia a grande star, e che propone alle due sorelle di unirsi al suo freak show, una compagnia di “fenomeni da baraccone” che esegue spettacoli itineranti. Dot, più riflessiva e pragmatica, non vuole, ma Bet – che invece è ingenua e sognatrice – accetta, e la sua volontà prevale. D’altra parte, le ragazze hanno bisogno di un rifugio: è stata infatti Bet a uccidere la madre, frustrata dalle sue proibizioni, mentre Dot ha pugnalato la sorella per punirla.
Al circo incontrano gli altri membri della compagnia, tra cui la barbuta Effil Darling (Kathy Bates), braccio destro di Elsa, e suo figlio Jimmy (Evan Peters), noto come il “Ragazzo Aragosta” per via delle sue mani deformi, simili a chele; Jimmy le utilizza per stimolare sessualmente le casalinghe represse di Jupiter, dietro compenso. Dot ha chiaramente una cotta per lui.
Nel frattempo, la cittadina è minacciata da un mostruoso serial killer che si veste da clown. Ha gli abiti luridi, il trucco scarnificato e un sorriso enorme, grottesco e terrificante. Vive in una roulotte immersa nei boschi, dove tiene prigionieri una ragazza e un bambino, a cui ha ucciso i genitori. Spesso si aggira nei dintorni del circo di Elsa.
Mentre Bet e Dot cercano di ambientarsi nel freak show, vengono scovate da un detective di polizia che, attirato dai cartelloni su cui figurava una donna bicefala, si è recato sul posto per arrestarle. Jimmy e gli altri performer prendono le loro difese, e il ragazzo, di fronte agli insulti del detective, lo uccide con una rasoiata alla gola. Quella sera, lo spettacolo fa il tutto esaurito perché una donna (Frances Conroy) ha comprato tutti i biglietti per lei e suo figlio; dopo l’esibizione, il ragazzo vuole acquistare Bet e Dot, che però rifiutano: il circo è ormai la loro casa. La donna se ne va indignata, insultando la performance canora di Elsa. Poi, di notte, il cadavere del detective viene martoriato dai membri della compagnia, e Jimmy dichiara che lo stesso destino sarà riservato a chiunque osi far loro del male. Il clown osserva nell’ombra.
Alla fine, Elsa confessa a Effil di aver accolto Bet e Dot con il solo scopo di sfruttarle per attirare il pubblico, e diventare lei stessa una star. Nella solitudine del suo alloggio, la donna solleva il vestito, e scopriamo che le sue gambe sono entrambe mutilate poco al di sotto del ginocchio. Indossa due protesi per camminare.

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La storia dei freak show è profondamente radicata nell’anima degli Stati Uniti, dove le origini di questa tradizione folcloristica sono rintracciabili già nel 1784, quando Charles Willson Peale fondò a Philadelphia il primo museo americano di storia naturale e “artefatti indigeni”, anche se l’apice di tale successo coincise con le intuizioni dell’impresario circense Phineas Taylor Barnum, che inaugurò il suo celebre American Museum a New York nel 1841. American Horror Story: Freak Show è invece ambientato nel 1952, periodo in cui il potere crescente della televisione stava oscurando la scintilla dello spettacolo dal vivo, soprattutto nelle sue incarnazioni itineranti, costrette a sopravvivere tra i piccoli centri della provincia americana: Ryan Murphy è attratto proprio da questo clima precario, dove l’endemica e costante instabilità delle compagnie di giro risulta amplificata da un’atmosfera decadente, che testimonia la fine di un’epoca. L’elemento macabro non fa che aggiungere inquietudine a un contesto che, nell’immaginario comune, possiede già qualcosa di disturbante, nascosto tra le maschere dei performer, la bizzarria del loro aspetto o la stranezza delle loro esibizioni.

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Inutile dire che il riferimento principale della serie è il capolavoro di Tod Browning, Freaks, da cui deriva l’idea che i “fenomeni da baraccone” costituiscano un microcosmo a se stante, autonomo rispetto al mondo esterno. Ma se Browning stemperava l’eccezionalità fisica dei freak nella banalità quotidiana delle loro esistenze, in modo da annullare la distanza fra la loro vita e quella dello spettatore, Murphy li ritrae invece come gli araldi di una passionalità sfrenata, scandalosi e sovversivi, unici individui disposti a vivere liberamente le proprie pulsioni basilari in una società che, al contrario, tende ad annullarle, com’è evidente dalla sessualità repressa delle famiglie piccolo borghesi che popolano Jupiter. In tal senso, l’approccio è certamente più didascalico (esemplare la scena in cui Jimmy Darling promette di punire con la morte qualunque ingerenza del mondo esterno), ma risulta funzionale a una narrazione basata sull’eccesso, sul kitsch e sullo shock percettivo, ottenuto sia tramite il variegato cast dei performer sia attraverso alcune efficaci soluzioni di montaggio: basti pensare allo stacco repentino che collega la scoperta delle gemelle Tattler e la successiva corsa in barella nei corridoi dell’ospedale, accompagnata da un effetto sonoro stridente e penetrante. In effetti, anche la colonna sonora svolge un ruolo fondamentale: le partiture d’epoca e le musiche originali invadono la scena con una prepotenza ossessiva, volutamente fastidiosa, che contribuisce a delineare un clima paranoico. Meno invadente, ma molto godibile, è il simpatico anacronismo della canzone Life on Mars di David Bowie, reinterpretata da Elsa con il suo accento tedesco.

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Il personaggio di Jessica Lange non è così diverso rispetto alle passate stagioni, anche se qui risulta ulteriormente valorizzato nelle sue illusioni di grandezza: è una diva in declino che, però, non è mai stata realmente una diva, nonostante venga trattata come tale dalla fedelissima Effil (un’ottima Kathy Bates, posata e comprensiva). Altrettanto brava è Sarah Paulson, impegnata in una doppia interpretazione – peraltro con personalità e mimiche facciali differenti – a cui giovano i validissimi effetti digitali. I valori produttivi sono infatti molto alti, anche nei costumi e nel trucco: la maschera sanguinaria del clown, ad esempio, è alquanto truce, e rende ancora più ambiguo un personaggio dal carattere oscuro, il cui legame con il circo è tuttora ignoto (così come la natura delle sue azioni cruente). Staremo a vedere, ma per il momento non c’è dubbio che American Horror Story: Freak Show sia cominciato con premesse molto buone.

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La citazione: «Quello che state per vedere stupirà i vostri stessi sensi, e turberà… sì, turberà le vostre anime.»

Ho apprezzato: gli ottimi valori produttivi in materia di trucco, costumi, effetti visivi, montaggio e fotografia; l’ambientazione; l’atmosfera macabra e ossessiva; le interpretazioni di Jessica Lange, Kathy Bates e Sarah Poulson.

Non ho apprezzato: l’espressione didascalica di alcuni concetti.

Potete scoprire, commentare e votare tutti gli episodi di American Horror Story: Freak Show sul nostro Episode39 a questo LINK.

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