Cannes 2014, Deux jours, une nuit: i fratelli Dardenne sulla Croisette con Marion Cotillard

Cannes 2014, Deux jours, une nuit: i fratelli Dardenne sulla Croisette con Marion Cotillard

Di laura.c

marion cotillard cannes 2014

Una lavoratrice in rischio di licenziamento per essere uscita da un periodo di depressione, sedici colleghi chiamati a decidere sul suo futuro scegliendo tra lei e il loro bonus annuale. I fratelli Luc e Jean-Pierre Dardenne hanno anticipato il loro collega Ken Loach portando già da oggi il cinema di impegno civile sulla Croisette con Deux jours, une nuit, descrizione lucida e non retorica della condizione odierna del mondo di lavoro, in cui la precarietà si mescola facilmente con egoismo e isolamento sociale, interpretata in modo molto convincente dalla star internazionale Marion Cotillard. Ecco come ci hanno presentato il loro film, in odore di premio al 67º Festival di Cannes, soprattutto per la protagonista femminile.

Luc Dardenne, la crisi economica che raccontate nel film, ha mai influenzato il vostro modo di lavorare? E come influenza invece il lavoro in generale?

Luc Dardenne: No, per fortuna non ci è mai capitato di trovarci davanti a una situazione come quella del film, che fondamentalmente è una sorta di ricatto. Di sicuro, la crisi non aiuta la solidarietà tra lavoratori, ma comunque la solidarietà è qualcosa che bisogna costruire, non va data per scontata. Anche nel passato, quando ci sono stati grandi rivolgimenti sociali e i lavoratori cominciavano a organizzare manifestazioni e scioperi, c’erano discussioni e divisioni intestine. Non è facile mai stato facile mostrarsi solidali perché comporta rinunciare a parte delle proprie entrate. La solidarietà è una scelta morale, ecco perché anche nel nostro film, i lavorati descritti non sono militanti e non hanno una precisa connotazione politica. C’è solo una donna che, difronte alla prospettiva di perdere l’impiego, si rivolge ai sui colleghi chiedendo loro di fare una scelta. Questo è quello che è e dovrebbe essere la solidarietà al giorno d’oggi.

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Scrivere questa sceneggiatura vi ha preso molti anni, quanto ci avete pensato prima di scegliere il finale?

Jean-Pierre Dardenne: Abbiamo vagliato molte opzioni. Noi funzionano come due ingranaggi di una macchina, quando la macchina non cammina vuol dire che c’è qualcosa che non va e continuano a cercare una soluzione che possa farla funzionare. Abbiamo scelto un finale che non fosse un’allegoria, volevamo mostrare come la solidarietà può cambiare le persone. La vicinanza del marito, il fatto di aver combattuto, cambia la protagonista, le dà una nuova forza che non sapeva di possedere in precedenza. Questo è quello che ci premeva sottolineare.

Marion, cosa l’ha spinta ad accettare questo ruolo di operaia in una precaria situazione lavorativa? Pensa che le varrà finalmente un riconoscimento qui a Cannes?

Marion Cotillard: Amo i ruoli complessi, vedo questo personaggio come una donna che combatte per la sopravvivenza e facendolo o scopre qualcosa che non sapeva su se stessa. Mi è sempre interessato molto di indagare questo tipo di condizione, la capacità di sopravvivere o meglio di superare ostacoli e situazioni critiche. Ma non penso mai ai premi quando scelgo i film, sono solo contenta di essere qui con i fratelli Dardenne. Forse il fatto di non pensarci è solo una forma di protezione personale, ma è così che funziono, non mi preoccupo, ma naturalmente ogni riconoscimento che arriva è molto apprezzato anche perché in caso di premi come l’Oscar, può la strada a tanti altri progetti interessati.

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Per il film di Audiard Un sapore di ruggine e ossa, che era a Cannes due anni fa, ha dovuto affrontare un ruolo con implicazioni fisiche notevoli, è stato molto diverso preparare questo?

M.C. In realtà si comincia sempre con lo scoprire qualcosa sul personaggio e sulla storia, così come sugli sceneggiatori, i registi e tutte le altre persone coinvolte. Amo scavare nel ruolo e capire come funziona la persona che andrò a interpretare, cos’ha dentro, e da lì passo poi all’esteriorità. Il lato fisico di solito segue quello che succede dentro al personaggio, quindi cerco sempre di andare più in profondità che posso, metto da parte la mia identità per trasformarmi in lui, lascio che sia lui a guidarmi e non il contrario.

Luc, Jean-Pierre, come mai avete scelto una star di fama internazionale per rappresentare una donna molto, molto comune? Volevate semplicemente lavorare con lei o c’era un’intenzione ulteriore?

L.C.: Nessun’altra intenzione, volevamo assolutamente fare un film con Marion che abbiamo conosciuto in “Un sapore di ruggine e ossa”, di cui eravamo coproduttori. Abbaiamo immediatamente pensato a lei per la sceneggiatura su cui stavamo lavorando e che all’inizio doveva essere basata su una dottoressa. Abbiamo cominciato a scrivere pensando a Marion e piano piano la storia si è trasformata, la protagonista, Sandra, ha cambiato mestiere ed è diventata un’operaia. Ma non lo abbiamo fatto per infrangere l’icona di Marion, semplicemente sapevamo che poteva benissimo interpretare Sandra e la volevamo nella parte. Abbiamo fatto quello che facciamo sempre, cioè lasciare che gli attori entrino nel nostro mondo, anche per questo teniamo moltissimo alle prove. Sono un modo di prendere familiarità con il personaggio anche dal punto di visita fisico.

È stato difficile raggiungere quel grado di spontaneità che caratterizza il film? C’è stata dell’improvvisazione?

M.C.: Dare l’impressione della naturalezza e dalla spontaneità richiede in realtà una grande preparazione. Non vorrei azzardare il parallelo perché non ho mai lavorato con Kechcihe, ma è esattamente l’impressione che ho avuto quando ho visto La Schivata, salvo poi scoprire che in quel film nulla era stato lasciato all’improvvisazione, bensì pianificato nel minimo dettaglio. Il realismo e la verosimiglianza richiedono tantissimo lavoro.

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Marion, non le è pesato calarsi nei panni di una donna non particolarmente avvenente?

M.C.: Non mi sento né bruttissima né bellissima, anche se penso che si tratti di una percezione personale. Come attrice, a seconda di quel che richiede il personaggio, so però di avere l’abilità fisica di trasformarmi. Sia in una persona affascinante, o in donne sublimi, sia in donne affatto attraenti, è una delle parti fondamentali del mio lavoro. Di sicuro non penso mai alla bellezza esteriore del personaggio nello scegliere i ruoli.

Nella sua carriera ha già interpretato molti ruoli diversi, c’è ancora qualcosa che la incuriosisce?

Certo, ci sono ancora molte cose che vorrei provare. Mi piacerebbe lavorare anche in film d’azione e commedie, generi in cui non ho mai recitato ma che amo molto come spettatrice. E mi affascina l’idea di fare un uomo, forse perché mi sembra quasi impossibile.

A QUESTO LINK potete leggere la RECENSIONE del film

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