Silicon Valley, la recensione del primo episodio: Minimum Viable Product

Silicon Valley, la recensione del primo episodio: Minimum Viable Product

Di Lorenzo Pedrazzi

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Silicon Valley, la nuova sit-com ideata da Mike Judge, ha debuttato nei giorni scorsi su HBO con il primo episodio, Minimum Viable Product: stando a questo esordio, il network potrebbe aver centrato l’ennesimo show di alta qualità…

Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER

Richard (Thomas Middleditch) è un programmatore che vive insieme ad alcuni colleghi nel cosiddetto “Incubator”, ovvero la casa di Erlich (T.J. Miller), un tizio che ha fatto qualche soldo vendendo la sua compagnia, e ora ospita giovani virtuosi dell’informatica per coltivare – ed eventualmente sfruttare – il loro talento. Richard sta attraversando un momento di crisi: ha inventato Pied Piper, un sito che permette ai compositori di verificare se le proprie creazioni musicali infrangono un copyright già esistente, ma non riesce a farlo decollare. Le cose non vanno meglio sul suo posto di lavoro, una grande compagnia chiamata Hooli (palesemente ispirata a Google), il cui fondatore Gavin Belson (Matt Ross) ama ostentare il suo impegno umanitario attraverso manifesti e video invasivi, presenti anche sul pulmino che trasporta i dipendenti fino all’azienda. Eccentrica e colorata, popolata da esperti di marketing che fanno riunioni in bicicletta e da programmatori che girano in branchi da cinque, Hooli non è certo il luogo ideale per Richard, che subisce lo sberleffo dei colleghi e non sopporta le bizzarrie della società. Gli stessi colleghi che lo deridevano, però, scoprono che Pied Piper contiene un algoritmo potenzilmente rivoluzionario, in grado di compiere ricerche velocissime su uno spazio compresso, e Belson coglie la palla al balzo: convoca Richard e gli propone dieci milioni di dollari per il suo algoritmo, ma contemporaneamente un altro milionario, Peter Gregory (Christopher Evan Welch), si offre di aiutarlo a costruire una sua società, comprandone solo il 5% per duecentomila dollari. Richard si trova quindi sul margine di una decisione fondamentale: vendere completamente la sua idea per guadagnare subito molti soldi, oppure fondare una propria società, puntando verso maggiori (potenziali) profitti e ben altre soddisfazioni personali…

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Chi altri se non Mike Judge poteva creare la satira definitiva sulla Silicon Valley? L’autore di Beavis & Butthead e Office Space ha sperimentato in prima persona la vita nella Bay Area di San Francisco, dove le menti più brillanti costruiscono il futuro dell’information technology, traendone ispirazione per una serie che ne ridicolizza manie, nevrosi, vizi e abitudini bizzarre, senza peraltro dover ricorrere ad alcun espediente parossistico: la quotidianità di Hooli, fra cicloriunioni di marketing e slogan talmente seriosi da risultare comici (“It takes change to make change”), replica fedelmente la vita di molte aziende reali – da Google a Apple, giusto per citare le più famose – che seducono i giovani dipendenti con lauti stipendi, azioni della società e un ambiente lavorativo dinamico, ma non fanno altro che impiantare il loro punto di vista “brandizzato” nella personalità e nell’immaginario dell’utenza mondiale (oltre che nei dipendenti stessi, stimolati a sacrificare la propria individualità per identificarsi con l’azienda). L’intelligenza di Mike Judge è evidente non solo dall’umorismo arguto e sottile con cui approccia la materia, ma anche dal clima placido e compassato che aleggia sull’intero episodio: si avverte una costante sensazione di apatia, come se il contesto della Silicon Valley tendesse a desensibilizzare i suoi abitanti, facendoli precipitare in un disincanto che si nutre della frustrazione per i successi altrui, puntualmente sottolineati dall’esibizione di stranezze autocompiaciute (come la macchinina elettrica – o narrow car – su cui viaggia Peter Gregory).

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Ovviamente non tutto è perduto, poiché c’è ancora spazio per l’innocenza. Richard, nonostante l’atteggiamento apatico e depresso, conserva una spiccata sensibilità, che gli provoca un attacco di panico davanti al bivio delle due offerte contrastanti. Alla fine sceglie di perseguire un sogno, la via più difficile: fondare una propria società per emulare i guru del settore (Gates, Jobs, Dell… tutte persone che hanno abbandonato l’università, proprio come lui), ovvero quelle figure iconiche che nella Silicon Valley esercitano sempre una grande influenza sulle fantasie dei giovani creativi. Per il momento non ci è dato sapere se la sua innocenza verrà corrotta dalle sirene del denaro e dell’egocentrismo, ma la sua avventura è soltanto all’inizio, e il primo episodio di Silicon Valley si rivela un ottimo esempio di sit-com intelligente, adeguata ai nostri tempi e alle nuove tendenze della narrazione televisiva (i geek dominano), oltre che pienamente in linea con la qualità media di HBO. Dopo True Detective, il pilot migliore di questo inizio d’anno: ci sono tutte le potenzialità per una commedia memorabile.

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La citazione: «Per migliaia di anni, quelli come noi sono stati presi a calci nel culo. Ma ora, per la prima volta, viviamo in un’epoca in cui possiamo assumere il comando e costruire imperi. Possiamo diventare i vichinghi dei nostri giorni.»

Ho apprezzato: il ritratto intelligentemente satirico della Silicon Valley; l’umorismo sottile e compassato; le ciclorunioni di marketing.

Non ho apprezzato: nulla di particolare.

Potete scoprire, commentare e votare tutti gli episodi di Silicon Valley sul nostro Episode39 a questo LINK.

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