Agents of S.H.I.E.L.D. – La recensione del 16° episodio: End of the Beginning

Agents of S.H.I.E.L.D. – La recensione del 16° episodio: End of the Beginning

Di Lorenzo Pedrazzi

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End of the Beginning, ovvero la convergenza delle trame che si agitano nell’universo Marvel: il diciannovesimo episodio di Agents of S.H.I.E.L.D. prepara il terreno per Captain America: The Winter Soldier, offrendoci una puntata tesa e spettacolare.

Attenzione: il seguente articolo contiene SPOILER.

Gli agenti John Garrett (Bill Paxton) e Antoine Triplett (B.J. Britt) vengono attaccati da Mike Peterson/Deathlok (J. August Richards), ma riescono a metterlo in fuga. È chiaro che il cerchio attorno al misterioso Chiaroveggente si sta stringendo, e Coulson (Clark Gregg) chiama a raccolta i vertici dello S.H.I.E.L.D. – Fury escluso – a bordo del Bus, per stabilire un piano d’azione: oltre a Garrett e Triplett, ci sono Victoria Hand (Saffron Burrows), Jasper Sitwell (Maximiliano Hernandez) e Felix Blake (Titus Welliver). Skye (Chloe Bennett), appena promossa ad agente di Livello 1, analizza la lista di superumani che in passato sono stati rifiutati dallo S.H.I.E.L.D., e ne individua tre che potrebbero corrispondere al profilo del Chiaroveggente. Compartimentando le informazioni per ingannare i poteri psichici del loro avversario, gli agenti si dividono a coppie, e partono alla ricerca dei tre candidati. Sulla loro strada, però, trovano ancora Deathlok, e scoprirono un segreto che può mettere a repentaglio il cuore stesso dell’agenzia…

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Se Turn, Turn, Turn, prossimo episodio di Agents of S.H.I.E.L.D., sarà lo spin-off di Captain America: The Winter Soldier, questo End of the Beginning ne costituisce invece il prequel. Tutte le puntate della serie, incentrate sul Progetto Centipede e sull’enigmatico Chiaroveggente, erano destinate a sfociare nei disastrosi eventi del nuovo film con Steve Rogers, che raccoglie tutti i fili del racconto cross-mediale in un’unica grande trama, come solo la Marvel è in grado di fare. End of the Beginning trasmette davvero la sensazione di assistere alle vicende di un universo narrativo ampio, governato da una continuity rigorosa e attentamente pianificata: se avete visto The Winter Soldier (e se non l’avete visto vi consiglio d’interrompere la lettura, poiché si tratta di spoiler), sapete che Capitan America e Vedova Nera, nel corso del film, scoprono un complotto decennale ordito dall’Hydra proprio ai danni dello S.H.I.E.L.D.. Gli uomini dell’organizzazione nazista, guidati dalla mente elettronica di Arnim Zola, si sono insediati in alcuni ruoli strategici dell’agenzia, pilotandone le azioni e, di conseguenza, manovrando anche i principali eventi storici dal dopoguerra a oggi. Insomma, ciò significa che il Chiaroveggente non esiste, è solo un’identità fittizia creata per deviare le indagini dallo S.H.I.E.L.D., concentrandole su uno spauracchio intangibile. Lo stesso Thomas Nash, paralitico che sostiene di essere il Chiaroveggente, non è altro che un fantoccio manovrato dall’alto… ed è un peccato che Ward, sconvolto dalle sue minacce nei confronti di Skye, lo abbia ucciso, anche perché un attore come Brad Dourif si sarebbe meritato più spazio (oltre che un ruolo più attivo). Ma non si sa mai, potrebbe sempre tornare.

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Il vero avversario, stando all’inquadratura finale dell’episodio, parrebbe essere l’ambigua Victoria Hand, che ordina l’uccisione di tutta la squadra di Coulson, con l’esclusione di quest’ultimo. Siamo alle porte di una guerra intestina che esploderà nella prossima puntata, e il cui esito è già stato mostrato in The Winter Soldier. Comunque, al di là della sua collocazione nel quadro complessivo, l’episodio in sé risulta il migliore di questa prima stagione, alla pari del precedente Yes Men (e in attesa di vedere i prossimi): l’atmosfera è costantemente tesa, gravata da un clima d’incertezza che ci costringe a dubitare di ogni personaggio, poiché i traditori potrebbero nascondersi ovunque… a cominciare da Melinda May, il cui ruolo è ancora da chiarire. Soddisfacenti anche l’azione e lo spettacolo, soprattutto grazie alla presenza di Deathlok, antagonista sofferente che, dietro alla sua pelle metallica, cela una profonda umanità. Le critiche volte alla sua armatura paiono francamente inutili e un po’ infantili: certo, a tratti può apparire un po’ goffa (soprattutto la corazza), ma questo dettaglio ha scarsa importanza rispetto alla caratterizzazione del personaggio e alla qualità dell’episodio.

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Finalmente Agents of S.H.I.E.L.D. comincia a esprimere il suo potenziale, stabilendo una relazione fruttuosa e innovativa con l’universo cinematografico Marvel, e schierando personaggi accattivanti (l’agente Garrett di Bill Paxton) o meglio rifiniti sul piano umano (Ward, che perde il controllo a causa del suo affetto per Skye).

La citazione: «La cosa più difficile di essere uno specialista è stare da soli. Una squadra ti dà una prospettiva completamente nuova. Credo sia la differenza tra lottare contro qualcosa e lottare per qualcosa. O per qualcuno.»

Ho apprezzato: i legami con l’universo cinematografico Marvel; il clima di tensione costante; Bill Paxton; la sofferenza interiore di Deathlok; l’umanizzazione di Ward.

Non ho apprezzato: Brad Dourif meritava più spazio.

Potete scoprire, commentare e votare tutti gli episodi di Agents of S.H.I.E.L.D. sul nostro Episode39 a questo LINK.

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