ScreenWeek dal Giappone.
Mizugumo Monmon («Il ragno d’acqua Monmon»)
Sono 12 minuti di vita del microcosmo di uno stagno, in particolare la delicata e leggera storia d’amore tra due diversi tipi di ragno d’acqua, uno che vive nelle profondità dello stagno e l’altro che “pattina” delicato sulla sua superficie. Il corto è ancora una volta incredibilmente vivido nella sua qualità visiva, la cura maniacale dei particolari è da Studio Ghibli, con queste splendide immagini Miyazaki riesce a trasmetterci tutto l’amore ed il rispetto verso il naturale e l’ambiente dove l’umano è del tutto marginale ed in fin dei conti non necessario. Ciò che colpisce di più di questi pochi ma intensi minuti di animazione, assieme al rispetto per la vita intesa in tutte le sue innumerevoli declinazioni, è la poetica che esalta l’effimero, ciò che passa, un incontro o un caso fortuito. Mizugumo Monmon ci sussurra come anche in un microcosmo vegetale/animale esistano la bellezza e l’amore, sentimenti che qui sono tanto gioiosi ed intensi quanto destinati a passare ed è infatti così che si conclude il corto, con i due insetti che dopo vari inseguimenti, balletti a filo d’acqua e carezze d’amore, si separano inesorabilmente a causa di un colpo di vento, un finale tanto delicato quanto poetico.
Yadosagashi («In cerca di casa»)
Pezzo più innovativo, scanzonato e leggero ma allo stesso tempo sorta di sperimentazione e ritorno alle origini dell’animazione è Yadosagashi («In cerca di casa»). Disegni grezzi e a bassa definizione compongono questo corto che è privo di dialoghi ma abbonda di suoni e rumori che sono qui prodotti, come nell’ultimo The Wind Rises, da due attori, rumori che vengono visualizzati sullo schermo attraverso le scritte onomatopeiche e che in questo modo diventano parte integrante dell’animazione.
È bene qui ricordare che nella lingua giapponese molti verbi che esprimono i suoni o i rumori in natura, come lo scroscio dell’acqua, il soffio del vento ed il tuonare, sono resi con delle onomatopee. Ed è anche grazie a questo che alla fine ne viene fuori un corto comicamente surreale, scabro ma vivo che preannuncia per certi versi il tratto che poi Miyazaki avrebbe adoperato in Ponyo, di due anni seccessivo.
Hoshi wo katta hi («Il giorno in cui allevai un pianeta»)
Ma è l’ultimo corto che prendiamo qui in considerazione, Hoshi wo katta hi («Il giorno in cui allevai una pianeta»), il pezzo migliore del trittico, originato da un’idea dell’artista Inoue Naohisa. All’inizio ci fornisce uno sguardo su un paesaggio che sembra quello di una normale campagna con tanto di casetta rustica un po’ retrò e campi coltivati a verdure. Da qui un ragazzo un giorno se ne va al mercato per vendere delle enormi rape ma per la strada incontra due buffi personaggi, una rana e una talpa che lo convincono a barattare gli ortaggi per il seme di una stella. Ritornato a casa il ragazzo lo pianta in un vaso e lo accudisce con dedizione e amore giorno e notte, finché il seme si sviluppa e incomincia a assumere le fattezze di un pianeta, sospeso a mezz’aria sopra il vaso. Pian piano assistiamo alla bellissima nascita di un pianeta in miniatura, si formano così l’atmosfera, gli oceani e quindi le terre emerse. Qui davvero il gruppo di Miyazaki si supera, la delicatezza dello sviluppo del piccolo pianeta, le musiche e le atmosfere rarefatte ci trasmettono tutto l’amore del ragazzo per l’atto di accudire e allevare qualcosa di vivo, che sia un pianeta piuttosto che un gattino o un bambino cambia poco, il sentimento che si mette in moto è lo stesso e riempie di gioia anche quando lo si dovrà abbandonare a sè stesso. Si scoprirà nel proseguo della storia che il luogo dove il protagonista abita è la periferia rurale di un enorme città alveare, una sorta di metropoli coperta d’erba, con macchine volanti, bazar popolati d’ogni sorta di strambi esseri, teste che rotolano (che rivedremo anche in I racconti di Terramare del figlio Goro) elefanti parlanti e così via. Saranno ancora i suoi buffi amici, la rana e la talpa, a guidarlo con una navicella in una Via Lattea fantastica, popolata di asteroidi multiformi, pianeti e stelle varie e dove il ragazzo rilascerà il suo pianeta-stella ormai cresciuto. Esempio perfetto di molte delle poetiche dell’autore e di temi a lui cari, Hoshi wo katta hi, è un’avventura in quella scienza fantastica che Miyazaki ha saputo intessere durante tutta la sua lunga carriera.