Wakolda: L’Angelo del Male – Recensione e incontro con Alex Brendemühl

Wakolda: L’Angelo del Male – Recensione e incontro con Alex Brendemühl

Di Leotruman

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Patagonia, 1960. Un medico tedesco incontra una famiglia argentina e la segue sulla lunga strada deserta per Bariloche, dove Eva, Enzo e i loro tre figli hanno intenzione di aprire una casa alloggio presso il lago Nahuel Huapi. Questa famiglia modello risveglia la sua ossessione per la purezza e la perfezione, in particolare Lilith, una dodicenne con un corpo troppo piccolo per la sua età. Ignari della sua vera identità, lo accettano come il loro primo ospite. E vengono tutti gradualmente conquistati da questo uomo carismatico, dai suoi modi eleganti, dalla sua conoscenza scientifica e dal suo denaro, fino a quando scoprono che stanno vivendo con uno dei più grandi criminali di tutti i tempi.

Wakolda, dopo essere stato apprezzato in tutto il mondo e dopo aver vinto svariati premi (sezione Un Certain Regard di Cannes) giunge in concorso al 23° Courmayeur Noir in Festival per deliziare la platea con una storia poetica e piena di significati. Lucìa Puenzo, scrittrice del romanzo da cui è tratto, sceneggiatrice e regista mette in scena le crepe di una fragilità umana nelle quali il male si insinua facilmente. Nonostante si basi su una storia vera già conosciuta, i novanta minuti di Wakolda sono densi di tensione e mistero.

Una delle forze del film è la caratterizzazione a più sfaccettature di ogni personaggio principale; nessuno di essi risulta indifferente al pubblico, che potrebbe persino ritrovare una empatia positiva verso il personaggio di Josef Mengele recitato con una performance convincente da Alex Brendemühl.
Assolutamente suggestivi i paesaggi Argentini che di fatto sono parte integrante della storia di Lucìa Puenzo che si interroga sul perché il suo paese abbia ospitato di buon grado tanti nazisti e sul perché molte famiglie argentine diventarono complici di questi uomini.

Wakolda è candidato a entrare nella cinquina che concorrerà agli Oscar come miglior film straniero. Il film ha già una distribuzione italiana a cura di Academy Two, lo vedremo nelle nostre sale da Gennaio 2014.

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Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare l’attore spagnolo Alex Brendemühl che si mette subito a disposizione chiedendoci in quale lingua preferiamo intervistarlo. Oltre alla sua lingua madre, parla infatti l’italiano, il francese, il tedesco e l’inglese.

Come hai collaborato con la regista Lucìa Puenzo?

Conoscevo già la Puenzo e quando mi ha mandato una mail per propormi il ruolo aveva allegato una foto dicendomi che ero perfetto per il ruolo perché gli assomigliavo fisicamente! Inoltre parlo indifferentemente spagnolo e tedesco, cosa che il personaggio nel film fa.
Lucìa [Puenzo] ha impiegato un anno sulla sceneggiatura e abbiamo lavorato molto sul personaggio e sulla storia per distanziarci sempre di più dal romanzo. La storia aveva una descrizione più intima del mio personaggio ma nel film volevamo approfondire maggiormente il punto di vista della bambina sul mondo, sulla scienza e l’aspetto del passaggio alla pubertà. Elementi sempre centrali.

Qual è il significato del titolo del film?

Wakolda è una parola usata dagli indios mapuche e indica le bambole. Mengele era un collezionista di bambole. La loro presenza nel film richiama il corpo umano, l’aspirazione dei nazisti al genere eletto e perfetto. Una metafora per ciò che Mengele tentava di fare.

Josef Mengele nel bilancio del film realizza anche delle cose positive aiutando la famiglia sia con la medicina che con il denaro. Mostrare gli aspetti positivi di Mengele può dare un messaggio contraddittorio al pubblico?

Sì, ma la scelta di caratterizzazione del personaggio da parte mia era quella di umanizzarlo. Il suo aiutare gli altri e osservarli è ambiguo, è filtrato sempre dalla sua analisi e dalla sua ossessione per la scienza, quindi in fin dei conti non è un umano normale. Questo messaggio credo che passi.

Come si è preparato per interpretare un personaggio così ambiguo e sfaccettato?

L’approccio al personaggio è stato molto rispettoso, perché tutto il mondo lo conosce. Ho fatto delle ricerche e mi sono documentato molto. Mengele era un personaggio molto particolare, collezionista di bambole e amante della musica. Avevamo girato delle sequenze in cui io cantavo,ma poi le abbiamo omesse.
Ho voluto umanizzarlo con degli aspetti che tutti noi abbiamo. I personaggi così ambigui e cattivi sono molto affascinanti per noi attori e per il pubblico. È stimolante per un attore immergersi in parti come queste.

Wakolda è una bambola senza cuore che grazie alla produzione seriale in fabbrica lo avrà, questo aspetto può essere visto come una metafora per la speranza di Mengele di avere un cuore più umano e di riscattarsi dopo gli orrori che ha commesso?

Questa è una osservazione molto interessante. Mengele durante il suo cammino mira alla perfezione come scienziato, fornisce il cuore alle bambole e se pensiamo che di fatto il personaggio realmente esistito non si è trasformato e non si è mai pentito la cosa è abbastanza ironica.

Recensione e intervista a cura di Giuseppe Benincasa.

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