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Roma 2013: Her, ScreenWEEK intervista Spike Jonze

Pubblicato il 11 novembre 2013 di laura.c

Il dualismo tra vero e immaginario, la complessità delle relazioni di coppia in ogni tempo e soprattutto in un’epoca in cui i mezzi per connettersi al mondo e soddisfare i propri desideri spingono verso una virtualità ancora più radicale. Questi e altri temi, l’amore su tutti, sono al centro di Her, firmato da un autore ormai di  culto come Spike Jonze cui si devono titoli come Essere John Malkovich e Il ladro di orchidee. Ieri il regista è giunto al Festival Internazionale del Film di Roma per presentare Her insieme agli splendidi interpreti Joaquin Phoenix, Rooney MaraScarlett Johansson. Vi ricordiamo che  QUI potete trovare la nostra intervista a Phoenix, e QUI la recensione del film. Ecco invece la nostra intervista a Spike Jonze.

Da dove è partita l’idea del film?

Tutto è cominciato una decina di anni fa, quando ho trovato per caso su Internet un link che rimandava a una chat per scambiarsi messaggi istantanei con un’intelligenza artificiale. Ho cominciato a parlarci dicendo cose tipo “Ehi come stai?” e il programma “Bene e tu”, e altri scambi basilari. Però ha cominciato anche a lanciarmi delle piccole provocazioni e per una manciata di secondi ho avuto davvero la sensazione sconcertante di star parlando con un essere senziente. Poi ho realizzato subito che si trattava solo di un programma, ma quell’attimo ha fatto sì che scattasse in me l’idea, anche se ho cominciato a svilupparla seriamente solo quando ho deciso di abbinarla a una storia più ampia sull’amore e i rapporti di coppia.

Questo film potrebbe essere di fantascienza, se non fosse che l’intelligenza artificiale qui non uccide e non minaccia nessuno, ma al contrario lo fa innamorare. Pensa che ci siamo affezionati così tanto all’high-tech che anche il genere potrebbe subire un’evoluzione in tal senso?

Penso che avremo sempre qualcosa di cui aver paura. Siamo umani e perciò continueremo a preoccuparci, il che non è necessariamente un male: è ciòche ha permesso ad esempio agli uomini delle caverne di sopravvivere a tigri e animali feroci. Credo che la fantascienza continuerà a esistere e ad attingere a quel bacino di paure ma è anche vero che oggi abbiamo un rapporto molto diverso con la tecnologia. Può darsi che il nostro punto di vista si trasformi in modi prima inesplorati. Il digitale ci ha reso quasi intimi con l’high-tech, però vorrei sottolineare che non ho mai pensato di scrivere un film sulla tecnologia e su come ci rapportiamo a essa. Her è più che altro un film sulle relazioni, sul bisogno e sul modo in cui proviamo ad entrare in contatto l’uno con l’altro, e su come a volte falliamo in questo tentativo.

Uno dei temi centrali del film sembra anche il cambiamento e la difficoltà di cambiare.

Esatto. Cambia il mondo, cambia la  tecnologia e il modo in cui viviamo le nostre vite. Ma prima di tutto cambiamo noi stessi. Più invecchiamo, più cresciamo e ci evolviamo  in termini di ciò che siamo, cosa vogliamo,  cosa ci rende felici e quali sono i nostri desideri. È praticamente impossibile non subire questo processo, si può evitare il cambiamento solo per scelta volontaria ed è qui che nasce la tensione. Spesso lottiamo per non cambiare e questo crea un attrito non soltanto in noi, ma anche nelle persone che ci stanno accanto. Il personaggio di Samantha, l’intelligenza artificiale, è stato scritto proprio pensando alla crescita di un essere umano. Ovviamente la sua progressiva evoluzione si può interpretare anche come un aggiornamento tecnologico, ma in realtà è la sua personalità a crescere, la sua consapevolezza di sé. Samantha compie il suo proprio viaggio e questo porta a galla un problema che c’è in qualsiasi relazione: come rimanere uniti e intimi quando entrambe le parti della coppia cominciano a cambiare.

Quindi cosa ci rende distanti oggi? La mancanza di tempo? O magari l’incapacità di desiderare qualcosa che vada oltre l’immediato?

Non posso rispondere per tutti, ognuno di noi ha le sue caratteristiche e le sue specificità. Per quanto mi riguarda, non penso proprio sia la mancanza di desiderio e quella del tempo è soprattutto una scusa. Quello che mi impedisce di stabilire un rapporto è spesso la paura di spogliarmi delle mie difese, e penso che alcuni personaggi del film ricalchino questa caratteristica. Il problema è che tutti noi vogliamo essere conosciuti e guardati, ma non possiamo esserlo finché non ci mostriamo davvero all’altro. Ciò significa però rendersi vulnerabili, e ci vuole un bel coraggio per farlo.

Pensa che ci apprestiamo a vivere in un mondo dove i confini tra reale e virtuale si confonderanno sempre più fino quasi a sparire?

Penso che ci viviamo già adesso. Se la realtà virtuale è quella che si trova nella nostra mente e la realtà fisica è quella che possiamo toccare, direi proprio che ci siamo, considerando quanto tempo passiamo online o a mandare messaggi.  Ma ci siamo, in senso più ampio, da sempre: siamo costantemente combattuti tra il vivere nel mondo e vivere nella nostra testa, non c’è nulla di nuovo. Quante volte capita di offenderci per qualcosa che ci dicono, ma che invece non aveva alcuna intenzione di essere un insulto? Anche quando parliamo con gli altri ciò che ci arriva passa attraverso una nostra interpretazione. L’unico cambiamento è che oggi ci sono molti più strumenti che ci incoraggiano a vivere nelle nostra testa, ma penso sia un binomio contro cui ci sconteremo sempre.

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