James Wan ha fatto molto per il cinema di genere contemporaneo. È grazie a questo regista (36 anni ma a vederlo sembra un 18enne), infatti, che siamo usciti da un periodo di teen horror che, sia chiaro, non è mai finito ma almeno ha trovato una giusta alternativa in grado di appagare le esigenze di una schiera di appassionati.
Li ricordiamo tutti quegli anni, caratterizzati da opere insipide come So cosa hai fatto. Poi nel 2004 qualcosa è cambiato: nei cinema è arrivato Saw, un film low budget, pieno zeppo di difetti ma in grado di andare contro tutti quei brividi all’acqua di rose che ci venivano propinati continuamente. Da lì in poi ha cominciato ad affermarsi un termine come “torture porn” e sono usciti una serie di film che, al di là della qualità, sono stati in grado di offrire quello che ormai da troppo tempo non si vedeva sul grande schermo.
James Wan però non è solo un regista in grado di scioccare nel più elementare dei modi e l’ha dimostrato nel corso della sua carriera. Dopo aver catalizzato l’attenzione del pubblico e delle case di produzione con Saw ha deciso di lasciare il destino di questa sua creatura nelle mani di altri registi – che l’hanno trasformata nel più longevo franchise horror degli ultimi anni – e si è dedicato ad altre opere che hanno messo in evidenza un’indiscussa maestria nel creare atmosfera (si prenda ad esempio il caso di Insidious, altra pellicola low budget distante anni luce dalle gesta del temibile Enigmista).
L’Evocazione – The Conjuring si inserisce appunto in questo filone e rappresenta una delle più interessanti pellicole horror di questa stagione cinematografica. Se con Insidious Wan era riuscito a dar vita ad un’opera moderna e in grado allo stesso tempo di portare alla mente altri indiscussi cult del genere, come ad esempio Poltergeist, con questo film è riuscito a fare molto di più, proponendoci una storia old school in tutto e per tutto, che procede lungo la sua strada tenendo ben presente un principio che in molti, ormai, hanno dimenticato: un horror deve creare tensione, e per farlo non ha bisogno di spiattellarci di fronte chissà quali scene cruente, deve semplicemente fare in modo che il disagio si insinui lentamente dentro lo spettatore.
Una cosa simile è possibile renderla solo se si nutre una sincera passione nei confronti del genere e questo è palpabile all’interno di ogni inquadratura. Se da un lato, infatti, The Conjuring non aggiunge niente di nuovo al filone delle pellicole che parlano di possessioni e case maledette, è innegabile il fatto che riesca a gestire determinati cliché nel migliore dei modi.
Non una goccia di sangue, messo da parte a favore del buio, degli ambienti, dei semplici oggetti e di brevi flash che rimandano all’Esorcista e al migliore horror orientale. Dei personaggi caratterizzati a dovere e in grado di creare una reale empatia, a cominciare da Vera Farmiga e Patrick Wilson che interpretano gli investigatori del paranormale Ed e Lorraine Warren, figure realmente esistite (Lorraine è ancora viva e, ovviamente, ha offerto il suo contributo al film) e testimoni di fenomeni al limite del razionale. La loro coppia si pone in contrapposizione ad altri eroi horror moderni, raggiungendo delle tonalità quasi epiche nella loro lotta contro il male. Una menzione particolare va alla bravissima Lili Taylor, che ci offre il sofferto ritratto di una donna tormentata da una presenza oscura, raggiungendo l’apice nella seconda metà del film.
Tenendo presente la lezione impartita da Paranormal Activity e altri titoli simili, The Conjuring riesce a creare un vero e proprio rapporto con lo spettatore, costretto suo malgrado a vivere ogni inquadratura e a scandagliare ogni luogo in cerca di ciò che non vorrebbe vedere. A differenza della saga creata da Oren Peli, però, il film diretto da James Wan ci riesce, e senza alcuna fatica.