Berlinale 2013 – Prince Avalanche, la recensione del film di David Gordon Green

Berlinale 2013 – Prince Avalanche, la recensione del film di David Gordon Green

Di Andrea D'Addio

Prince Avalanche Emile Hirsch Paul Rudd Foto Dal Film 01

Estate 1988, foreste del Texas. Due uomini passano le giornate rifacendo la segnaletica stradale in una zona completamente distrutta da una serie di tremendi incendi. Nessun centro cittadino nei paraggi, l’unica compagnia possibile è quella dell’uno con l’altro. Non sono amici, non ancora almeno, ma semplici parenti. Il più grande (il personaggio interpretato da Paul Rudd) infatti è sposato con la sorella dell’altro (Emile Hirsch). E’ lui che gli ha procurato il lavoro, ennesimo sforzo fatto per dimostrare alla moglie quanto le voglia bene nonostante la distanza imposta da una professione che gli permette di stare a casa solo pochi giorni l’anno. Lontani dal mondo, costretti ogni giorno a confrontarsi, i due personaggi si trovano a ragionare sulle rispettive vite, tra errori, delusioni e sogni di una felicità futura.

Con Prince Avalanche David Gordon Green opera un cambio di rotta rispetto la sua recente filmografia marcatamente demenziale, per tornare al tipo di commedia un pochino più sofisticata con cui iniziò la sua carriera. Insomma, stavolta niente Strafumati, Sua Maestà, Spaventapassere e così via, ma una storia intima e di mezzi toni che tanto fa cinema Sundance. Del resto non ci si poteva allontanare troppo da quel Either Way (vincitore del Festival di Torino 2011) dell’islandese Hafsteinn Gunnar Sigurdsson di cui Prince Avalanche è il remake. Rimangono i dialoghi ed una situazione generale alla Samuel Beckett, ma il tutto viene fatto all’americana, senza quindi dimenticarsi delle regole base dell’enterteinment a stelle e strisce: va bene un po’ di staticità, ma mai rischiare di addormentare lo spettatore.

Non ci sono scene particolarmente ispirate, né sembra riuscire completamente l’idea di rappresentare il paesaggio circostante come metafora per la solitudine dell’uomo con tanto di riferimenti metafisici, ma allo stesso tempo non c’è nessuna sbavatura e la caratterizzazione dei due personaggi, due persone ingenuamente stupide, è comunque interessante e credibile. Il merito in questo caso va condiviso dalla sceneggiatura con i due attori protagonisti: Paul Rudd è ormai un mago del trasformismo, quasi non lo si riconosce con i baffi, mentre Emile Hirsch, per quanto ingrassato tanto da sembrare una copia giovane di Jack Black, ritorna finalmente a mostare le sue doti da attore comico (del resto così aveva iniziato). Prince Avalanche non è, in definitiva, un film che si ricorderà nel tempo, ma quell’ora e mezza di pellicola scorre comunque fluida e piacevole, regalando qualche sorriso ed un retrogusto di buona malinconia.

ScreenWEEK è a Berlino per partecipare alla 63esima edizione del Festival. Seguiteci per tutte le novità e le recensioni dalla capitale tedesca.

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