La caratteristica forse più apprezzabile di Ang Lee, non è solo quella di scegliere sempre storie molto diverse e per vari motivi difficili da dirigere, ma anche quella di riuscire a coniugare uno stile tutto sommato molto classico e popolare con qualche sottile intuizione di racconto o di regia, capace di intervenire anche all’improvviso nel film e di sollevarlo immediatamente a un altro livello. Questo è anche il caso di Vita di Pi, di cui si è molto parlato per l’uso intenso e molto particolare degli effetti speciali e del 3D, ma che ancora più del lato visivo, presenta un impianto narrativo molto raffinato e sotterraneo, che emerge con vigore e si palesa solo nel finale, traghettando lo spettatore verso il vero e inatteso approdo del film.
Il soggetto è già di per sé molto particolare: tratto dall’omonimo romanzo di Yann Martel, Vita di Pi si basa sulle peripezie di un giovane indiano cresciuto in uno zoo e, per beffa del destino, rimasto naufrago nel bel mezzo dell’oceano su una scialuppa di salvataggio insieme al più improbabile e pericoloso dei compagni di viaggio: una tigre del Bengala. Effettivamente molto arduo da adattare, non tanto per le numerose scene con animali (brillantemente risolte con l’aiuto del computer) ma anche per l’intrinseca difficoltà di reggere così a lungo il confronto solitario tra un uomo e un feroce esemplare di felino, Vita di Pi vince prima di tutto la sfida di tenere vivo l’interesse e l’attesa dello spettatore, caricando sin dall’inizio la figura della tigre con un senso di mistero e maestosità che alimentano e sostengono le aspettative del pubblico. Dall’altro lato, Ang Lee va palesemente alla ricerca di soluzioni visive manieriste e di impatto, che di sicuro servono a movimentare l’andamento del film, dall’altra appaiono (almeno all’inizio) troppo artificiose e talvolta perfino troppo scontate per un regista di tale livello. Per farne comprendere appieno la portata (anche di quel 3D che appare senza dubbio spettacolare ma non strettamente coessenziale alla costruzione del film), proprio quando si comincia a temere il peggio, interviene invece la svolta narrativa, non proprio un finale a sorpresa ma quasi, che aiuta a rileggere in chiave diversa tutto ciò che si è visto fino a quel momento.
Come ci riesce? Semplice: la storia si apre come un racconto nel racconto dove il protagonista, Pi per l’appunto, comincia a narrare a uno scrittore in pieno blocco creativo le proprie avventure, con l’intento di accendere in lui non solo l’ispirazione ma anche la scintilla della fede. Non di una fede in particolare, essendo Pi allo stesso tempo induista, cattolico, musulmano nonché amante della scienza occidentale, ma nel potere stesso dell’atto del credere. Questa premessa passa poi in secondo piano, rimanendo sotterranea e apparentemente “decentrata” rispetto alla narrazione del naufragio e del difficile rapporto del protagonista con la tigre, ma riemerge con tutta la sua forza nel finale, dove si ricorda, in maniera estremamente efficace, come anche raccontare una storia implichi un atto di fede: quello dello spettatore, che deve sospendere il proprio scettiscismo e la propria incredulità per lasciarsi trasportare in un mondo di pura e meravigliosa finzione. Un mondo dove non troverà probabilmente nessuna spiegazione e nessuna risposta definitiva alle sue domande più intime, anche perché le risposte sono nascoste nell’esperienza stessa del viaggio che si è chiamati a compiere: un viaggio nel dolore, nella speranza, nella disperazione e in tutta la complessa “paletta” di colori e sensazioni di cui si compone la vita umana. Quella stessa paletta che Ang Lee non lesina nel costruire i tanti quadri di questo film, che alla fine assumono un senso ulteriore, capace di giustificarne in maniera definitiva il carattere irreale, eccessivo, sempre “troppo”: troppo scuro, troppo saturo, troppo fluorescente. Un’eccessività a volte difficile da digerire, ma propria della grandezza dell’immaginazione umana e di quella di un grande regista come Ang Lee.
Vita di Pi uscirà domani nelle sale italiane. Nel cast del film, basato sulla sceneggiatura di David Magee, troviamo anche Suraj Sharma,Gérard Depardieu, Irrfan Khan, Adil Hussain e Shravanthi Sainath.