Torino 2012 – K-11, la recensione in anteprima

Torino 2012 – K-11, la recensione in anteprima

Di emanuele.r

Sui figli d’arte e sui dubbi che essi creano si è parlato più di una volta, ma cosa si dovrebbe dire delle madri d’arte? E’ vero che Jules Stewart, mamma di Kristen, ha cominciato a fare cinema nel ’78 come montatrice per poi divenire supervisore agli script, ma l’esordio alla regia con K-11 (nella sezione Rapporto confidenziale del Torino Film Fest 2012) arriva nel momento di maggior fulgore della figlia, sull’onda di una presunta partecipazione che poi non c’è mai stata. Un caso o no, per il successo se ne riparlerà in un altro momento.

Il film racconta di un produttore discografico arrestato per omicidio e che per un errore viene mandato nel braccio del titolo, quello dedicato a omosessuali, pedofili e transessuali. La lotta per la sopravvivenza dovrebbe essere dura, almeno nelle intenzioni della sceneggiatura scritta dalla stessa Stewart con Jared Kurt, ma invece il film sembra una parodia di Oz e di molti altri drammi carcerari con in più l’aggiunta di macchiette e finali all’acqua di rose.

L’operazione sarebbe quella di distruggere la patina correttezza politica che lega l’omosessualità al carcere, raccontando un mondo parallelo che pare l’inferno (e già non sarebbe l’idea del secolo), ma K-11 si limita a costruire un universo che gioca coi cliché, li sfrutta senza remore e non li rilegge, non ci ragiona su, non costruisce alcuna visione alternativa, rispettando pedissequamente tutte le regole del genere (anche sessuale). Ne esce fuori un film ai limiti del’insulso, blandissimo, edulcorato e pure ipocrita nel promettere immagini e situazioni che si vedono solo di striscio (imbarazzante la sfilata in carcere).

Stewart mette su un film senza spina dorsale, retto da un personaggio tanto fragile e senza percorso (cambia personalità senza motivo almeno 2 volte) quanto è mediocre l’attore che lo interpreta (il Goran Visnijic che deve un po’ di popolarità a E.R.); e nemmeno nella peggiore tradizione hollywoodiana si ricordano una serie di finali lieti come questi, tanto da far sembrare un luogo d’inferno una mezza fiaba. Si salva solo la prova di Kate Del Castillo (in un ruolo che si era vociato dovesse essere di Nikki Reed), perfetta regina trans del braccio: ma il fatto che a interpretarla ci sia una donna e non un vero transessuale ribadisce la portata minima e irritante del progetto.

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