Da quando 20 anni fa l’invenzione di internet cambiò per sempre la comunicazione sono state molte le opere di varia natura che ne raccontavano l’essenza e i limiti. Ora che il mezzo è cambiato tramite la connessione continua e totale dei social media e dei social network, il regista Henry Alex Rubin – candidato all’oscar per il documentario Murderball – approda al cinema di finzione (e al Lido, fuori concorso) con Disconnect, dramma corale che sulle trappole della “condivisione” perenne punta il dito.
Varie storie a comporre un ritratto corale: una coppia devastata dalla perdita del figlio si ritrova nei guai quando il loro conto viene clonato; una giornalista mette nei guai un giovane prostituto per realizzare uno scoop; un ragazzino tenta d’impiccarsi quando una finta relazione virtuale viene a galla; due ragazzini compiono un terribile scherzo on line e ne devono pagare le conseguenze. Andrew Stern scrive una sceneggiatura a incastri, ispirandosi evidentemente al Crash di Haggis, per raccontare l’impossibilità comunicativa in un mondo in cui la comunicazione è onnipresente.
Proprio ciò che faceva Crash, sostituendo però al “contatto fisico” quello virtuale di Facebook e YouTube, quello che porta ognuno di noi a eliminare ogni tipo di privacy per poter mostrare al mondo di esserci con opinioni e immagini, ma anche dati sensibili e affetti privati: e così le chat, i falsi profili, i video diffusi e condivisi, la sessualità vissuta tramite webcam diventano i nodi di una società che ha bisogno di disconnettersi per non soccombere. Sorge però un dubbio non di poco conto: è internet a non essere cambiato in 20 anni o i film che lo raccontano dicono sempre le stesse cose e si basano sugli stessi meccanismi? E nel caso di cambiamenti, perché nessuno pare coglierli fino in fondo, almeno a livello mainstream?
Su questi limiti però, Disconnect (che sarà distribuito da Filmauro) resta un film tutto sommato discreto, dalla buona scrittura dei personaggi a una conduzione del racconto intrigante che la regia sa sfruttare per coinvolgere lo spettatore in una sceneggiatura troppo programmatica, senza sfumature e quasi educativa nel finale, ma che mostra anche un senso del “thrilling” (in senso lato) piuttosto interessante. Nel variopinto cast emergono Alexander Skarsgaard e un Jason Bateman sempre più bravo.
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