La desolazione e la disperazione di un mondo in scomparsa, dove i valori tradizionali vengono deviati dallo scontro con la modernità. Un padre agricoltore in rotta di collisione con i suoi figli che si rifiutano di prendere in mano il business di famiglia, e tutto ciò mentre la dittatura del mercato spinge a scelte dure, che minano alla base la solidarietà e l’etica del mondo contadino. È questo il contesto in cui il regista Ramin Bahrani ambienta At any price, un dramma familiare che vede opposti Dennis Quaid e Zac Efron, in concorso alla 69. Mostra del Cinema di Venezia.
Il film vanta un tema solido e un’idea di base interessante. Se, per buona metà dell’opera, sembra di assistere alla classica storia in cui un padre troppo legato al passato si scontra con il desiderio di riscatto di un figlio brillante, il racconto prende all’improvviso una piega inaspettata, imboccando una parabola degenerativa volta a mostrare l’abbrutimento del contesto sociale dipinto. Quello che sembrava essere un ragazzo in gamba, la forza di propulsione di un’America comunque in movimento, diventa il simbolo del decadimento interiore di una realtà senza vie di fuga e senza possibilità di redenzione. Al padre, figura inizialmente negativa, spetta invece la dura presa di coscienza, la disperazione di un mondo senza più punti fermi se non uno: la difesa della proprietà, “At any price”.
Il problema del film, tuttavia, è che non riesce a sviluppare la giusta tensione: potrebbe avere la forza squassante di una tragedia, mentre adotta un registro apparentemente più soft, appena drammatico, che per quasi tutto il tempo non lascia trapelare la complessità dell’intuizione del film. Le immagini scorrono via senza colpire, e senza riuscire a esprimere l’atmosfera di decadentismo richiesta dalla trama, mentre gli attori faticano a dare il giusto spessore ai propri personaggi. Nel caso di Dennis Quaid, questo è dovuto probabilmente alle esigenze di un ruolo costruito per risultare fastidioso, imbarazzante e sopra le righe, tanto che l’attore si riscatta notevolmente nel finale, riuscendo a racchiudere in pochi sguardi tutto il malessere denunciato dal film. Per Zac Efron, invece, bisogna constatare una certa staticità e fissità nella recitazione, lontana anni luce dalle sfumature necessarie a un personaggio come il suo, che invece di intraprendere il solito percorso di formazione, finisce imbrigliato in un abisso dalla profondità sempre crescente. Nel complesso un film interessante, ma con poche scene davvero incisive dal punto di vista registico (da sottolineare giusto quelle in cui non viene usata musica di sottofondo, ma il rumore delle pale eoliche che ricorda il battito cardiaco). Soprattutto, una prova un po’ troppo piatta per essere in concorso al Festival di Venezia.
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