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17 ragazze – Intervista a Muriel Coulin.

Pubblicato il 21 marzo 2012 di laura.c

Niente spot radio, né pubblicità in tv in fascia protetta. Non è ancora arrivato nelle sale, e già il film 17 ragazze, realizzato dalle sorelle Delphine e Muriel Coulin, ha suscitato qualche clamore nel nostro Paese, tanto da incorrere in un divieto ai minori di 14 anni che impedirà alla distribuzione, Teodora Film e Spaziocinema, di utilizzare i soliti canali promozionali. Il motivo si può facilmente rintracciare nel tema dell’opera, presentata già a Cannes e a Torino, che parla di un gruppo di adolescenti francesi decise a rimanere tutte quante incinta per dare uno scossone alla propria vita senza prospettive. Lo scossone, però, le protagoniste lo danno anche al pubblico, che un po’ come i personaggi adulti del film, si trova improvvisamente catapultato in mezzo a una pluralità di problematiche piuttosto rilevanti, tutte espresse ma non risolte dai corpi irrequieti di queste 17 ragazze: forti, sicure, ribelli, ma allo stesso tempo fragili e irresponsabili (QUI la nostra recensione del film). Abbiamo chiesto di guidarci in questo sorprendente e controverso esordio a Muriel Coulin, giunta a Roma per presentare il film, ma senza la sorella Delphine, assente proprio perché anche lei in attesa di un bambino.

Muriel Coulin , cosa vi interessava esprimere esattamente con questo film?

Ci interessava la possibilità di un’utopia collettiva. Le nostre 17 ragazze sono adolescenti non soddisfatte della vita che gli viene proposta in quella città triste, grigia e geometrica dove vivono, e che nel rimanere incinta intravedono una possibilità di cambiamento. Il loro gesto equivale a non accettare il mondo degli adulti, quello che volevamo mostrare non è certo un’esaltazione della ” gravidanza collettiva”, ma l’atto di ribellione e di amore di un gruppo di giovani desiderose di opporsi a un futuro senza prospettive.

La ribellione è chiara, ma l’amore?

L’amore perché abbiamo preso spunto da una storia vera, e quindi si parla di bambini che nella realtà sono nati e stanno crescendo.

Ci parli di questa storia vera.

Si tratta semplicemente di una notizia molto breve che abbiamo letto su Libération. Parlava di un liceo di Gloucester, nello stato americano del Massachusetts, dove una quindicina di ragazze hanno avuto un bambino nello stesso momento. Il fatto ci ha colpito non solo in sé, ma anche perché si tratta di una città molto simile a dove siamo cresciute, io e mia sorella, Lorient, dove abbiamo ambientato il film. Una sorta di specchio di Gloucester, perché sorge sempre sull’Atlantico, anche se dall’altra parte dell’oceano, ha più o meno la stessa grandezza e ha vissuto per anni dell’industria della pesca che oggi praticamente non esiste più. Così abbiamo subito pensato che non fosse poi così improbabile che un episodio del genere si potesse ripetere anche qui da noi in Francia e in particolare a Lorient, dove la  situazione geografia e socio-economia è molto simile.

Però l’approccio alla gravidanza negli USA e in Europa è un po’ diverso.

Senza dubbio, ma infatti dalle ragazze di Gloucester abbiamo preso solo lo spunto per poi sviluppare un film completamente indipendente dal fatto di cronaca. I personaggi, la loro psicologia, l’ambiente familiare e il germe dell’utopia collettiva sono tutti elementi che abbiamo completamente inventato, e che di sicuro sono molto più vicini all’adolescenza mia e di mia sorella piuttosto che a delle ragazze che non conosciamo. L’unica parte del film per cui ci siamo documentate a fondo è stata quella che riguarda gli infermieri, i medici e l’ambiente sanitario che gira intorno alle protagoniste. Questo è un contesto che abbiamo approfondito bene prima di girare, e ovviamente si riferisce alla realtà francese.

La sorprende il divieto ai minori di 14 anni imposto in Italia? Anche negli altri Paesi il vostro film è stato considerato in qualche modo pericoloso?

Sì, mi sorprende e mi fa sorridere, dato che si tratta di  un Paese in cui l’ex-Presidente del Consiglio per il suo compleanno si è fatto “regalare” una minorenne. Però, più in generale, credo che non ci sia modo migliore per invogliare un adolescente a fare una cosa che proibirgli di farla. Di solito i divieti ottengono l’effetto  contrario, e poi la censura, tranne in casi davvero estremi, non mi sembra mai una buona soluzione. Il film è  distribuito in 20 Paesi, molto diversi tra loro, e in molti di questi abbiamo fatto diverse proiezioni nelle scuole. Non bisogna pensare che gli adolescenti siano stupidi e che imitino ogni comportamento che vedono sullo schermo: durante gli incontri si  sono mostrati molto attenti e consapevoli, hanno discusso e approfondito molti temi a e messo in luce diverse problematicità. Penso che dal film si possa avviare con i ragazzi un dibattito molto costruttivo: non è che se vedono una teenager incinta che fuma pensano di farlo anche loro, anzi, spesso esprimono netta contrarietà verso comportamenti che riconoscono come irresponsabili.

Perché fa tanta paura la gravidanza di un’adolescente?

Perché è comunque un modo di riappropriarsi del proprio corpo e di affermare la propria indipendenza, soprattutto nei confronti dei genitori. Se poi a sceglierla non è più una sola ragazza ma un gruppo, allora sono tutti gli adulti a trovarsi spiazzati e senza mezzi per affrontare il nascere di un’utopia su piccola scala, una sorta di nuova micro-società.

L’autodeterminazione di sé e del proprio corpo era un must del femminismo, cos’è cambiato rispetto al passato?

Diciamo che negli anni ’70 ciò che le donne chiedevano era la libertà di rimanere, o non rimanere incinta, solo quando lo desideravano. Oggi però la società è molto cambiata, e le nostre ragazze rivendicano un altro diritto, cioè quello di poter rimanere incinta, studiare e lavorare nello stesso tempo. In un certo senso sono delle post-femministe.

Non solo come autrice ma come donna non sente la responsabilità di aver trattato temi così sensibili e controversi? Il film, ad esempio, sembra non occuparsi troppo di problematiche come il sesso sicuro.

Di sicuro sentiamo molto forte la responsabilità di aver fatto questo film e delle tematiche trattate. Siamo state molto indecise ad esempio sul finale. Non volevamo di certo una conclusione rosea e felice, perché non siamo appunto a favore della gravidanza collettiva e pensiamo che l’utopia perseguita dalle protagoniste sia soprattutto un sogno da adolescenti, molto difficile da realizzare. D’altra parte non poteva essere nemmeno troppo noir, perché prende spunto da una storia vera e i bambini di queste ragazze sono nati e stanno bene. Quindi abbiamo optato per una via di mezzo.  Per quanto riguarda altri temi come la prevenzione dell’Aids, di sicuro sono molto importanti e infatti li abbiamo tutti accennati nel film, ma non potevamo fare una capitolo a parte per ciascuno di essi, altrimenti non sarebbe stato un film ma una soap opera o un romanzo a puntate.

Cosa rispondente a chi vi accusa di aver realizzato un’apologia della gravidanza collettiva?

Diciamo che non ha capito il film. Certo, ci è piaciuta l’idea di ragazze che scelgono una via diversa da quella “normale”, ma mi sembra che abbiamo mostrato abbastanza chiaramente come la gravidanza, e in particolare la gravidanza collettiva, non sia il migliore dei modi per ribellarsi. Tanto più che sarebbe un’utopia irrealizzabile, almeno nei modi descritti dal film. Quando abbiamo letto la notizia sul giornale abbiamo pensato che fosse una storia incredibile ma anche una vera follia. E poi, per fortuna, non mi sembra ci siano state epidemie di gravidanze in Francia dopo il nostro film.

17 ragazze  uscirà nelle sale italiane il 23 marzo distribuito da Teodora Film e Spazio Cinema.