Sherlock, il commento a The Hounds of Baskerville

Sherlock, il commento a The Hounds of Baskerville

Di emanuele.r

Attenzione: il seguente articolo contiene spoiler. Leggete a vostro rischio o solo se avete visto l’episodio. 

Concentrare una stagione in tre episodi da 90′ significa rendere densissime non solo le storie raccontate, ma anche le attese degli spettatori: non può non succedere a Sherlock, la serie del momento in Europa e non solo, grazie al modo fulminante in cui si rende contemporaneo un mito secolare come il detective di Conan Doyle. E qui, a confronto col più celebre dei romanzi dell’autore (scritto per resuscitare il personaggio morto circa 10 anni prima – come si racconta anche in Sherlock Holmes-Gioco d’ombre), Mark Gatiss incappa nel primo impasse della serie. Veniale, per carità.

Ispirato appunto al Mastino dei Baskerville, l’episodio vede Holmes e Watson coinvolti dal giovane Henry Knight, perseguitato dal ricordo di un’aggressione da parte di un gigantesco mastino che è diventato ormai un’attrazione turistico: ma è un mostro vero? Un’allucinazione? O un esperimento? Lo stesso creatore sceneggia l’episodio per la regia di Paul McGuigan, cercando di ampliare il giallo classico a territori da thriller cospirativo e da horror soprannaturale.

Sono due infatti le piste possibile in questo mistero particolarmente oscuro: la presenza vera o presunta di un mostruoso cane assassino che spaventa la brughiera ma che è divenuto, come il citato mostro di Loch Ness, un’attrazione e un’entrata economica per il commercio, e il complotto scientifico militare  che vede una segretissima base governativa – nella quale i nostri entrano sfruttando le credenziali di Mycroft – come luogo di esperimenti per creare animali e uomini da usare per la guerra. Il risultato, nel mezzo di queste due strade, è qualcosa di simile alla fantascienza matura: il progetto H.O.U.N.D. che usa agenti chimici e droghe per alterare la percezione degli esseri umani e renderli iper-sensibili a stimoli come la paura, per poterli meglio dominare in guerra. Questo coté non s’addice molto all’impianto e all’atmosfera della serie, ed è molto più interessante la riflessione sulla personalità investigativa di Sherlock di fronte all’ignoto, all’imponderabile, al impossibile: l’investigatore ne esce sconvolto, tanto da dover ammettere – a fatica, sia chiaro – di aver sbagliato nel pensare che la droga fosse nello zucchero e da fargli dire la celebre massima: “Quando hai eliminato l’impossibile, qualsiasi cosa resti, per quanto improbabile, deve essere la verità”.

Resta il fatto che questo è forse il meno bello tra i 5 episodi finora proposti: probabilmente a causa della fama del romanzo, che si confà poco allo spirito da gioco mentale  high tech della serie, alle ambientazioni rurali e all’aria aperta, e anche alla scelta di un colpevole intuibile davvero alla prima scena in cui appare. Ma anche McGuigan, rispetto a Scandal in Belgravia, appare involuto, la sua regia meno vivace e ritmata, meno incalzante e profonda, come dimostra la sequenza un po’ goffa del palazzo della mente. Resta comunque un bell’episodio, degno di un prodotto altissimo come Sherlock: però, se si abitua lo spettatore all’eccellenza è difficile fargli accettare qualcosa in meno. Anche se bisogna ammetterlo, lo sguardo del fan è alla caccia di Moriarty, che appare nel finale, come ossessione di Sherlock e matto appena rilasciato: già il titolo del prossimo episodio fa pensare a un gran duello, visto che Reichenbach Fall è il luogo svizzero in cui Conan Doyle ha ambientato Il problema finale (il titolo del romanzo) tra i due arci-nemici. Non ci resta che aspettare, frementi. E a voi è piaciuto questo episodio? E cosa vi aspettate per il finale, di cui potete vedere il promo qua sotto? Restate su Screenweek per seguire le vostre serie preferite.

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