Attenzione: il seguente articolo può contenere spoiler. Leggetelo a vostro rischio o se avete visto l’episodio.
Vivere felice e contenti è molto facile se vivi nella favole, ma può esserlo molto meno se vivi in un sitcom. Pare questo, grosso modo, l’assunto alla base di Happy Endings la nuova comedy targata ABC che è arrivata anche in Italia giovedì scorso grazie a Fox e che punta a intrattenere i fan di prodotti come New Girl che tanto in patria quanto in Italia stanno riscuotendo successo.
La trama di questa serie creata da David Caspe parte con Dave e Alex, fidanzati da sempre, sull’altare. Ma lei scappa, come da tradizione, due secondi prima del sì, con un tizio, Bo, sui roller-blade. Nel primo episodio, E vissero sempre amici e contenti, gli amici dell’ex-coppia devono capire come gestire la rottura mentre i due cercano di rifarsi una vita; nel secondo, Agguato a Bo, Dave decide di andare a vendicarsi del tipo che gli ha rubato la futura moglie, mentre Alex cerca di reinventarsi come single. Scritti dal creatore e diretti dai fratelli Anthony e Joe Russo (registi esperti nel genere, come dimostrano Community e l’Emmy vinto per Arrested Development), i due episodi s’innestano nel solco della sit-comedy moderna, quella che parte da Friends, per raccontare temi come l’amicizia e l’amore nella nuova generazione dei thirty-something.
Soprattutto l’episodio pilota ruota attorno a come, in un gruppo d’amici, ogni minima incrinatura rischia di far crollare l’intero quadro: oltre a Dave e Alex, ci sono Jane e Brad, una coppia sposata che rischia la noia nel proprio rapporta di coppia, Max, il disinvolto amico gay, e Penny, la ragazza un po’ sfigata e in sovrappeso (ma adorabile) che cerca la consolazione tra le braccia di un probabile omosessuale. E la separazione difficile tra i due fidanzati, provoca sconvolgimenti che si ricomporranno solo nel finale (“Sono 11 anni che non ci facciamo nuovi amici, non saprei più cosa dire”, dice Dave agli amici).
Si intravede così una struttura peculiare nella serie: prima di rendere omaggio al lieto fine del titolo, la situazione deve complicarsi all’inverosimile, arrivare a un’apparente punto di rottura, con equivoci, imbarazzi e gaffe, come Max, che mentre Dave consola un piagnucolante Bo anche lui lasciato da Alex, non può esimersi dal caricarsi come Steven Seagal e dare il via a una rissa (a cui segue una spassosa discussione sull’attore e le sue capacità limitate ormai, cosa che abbiamo detto anche noi parlando di True Justice). Struttura che non raggiunge le vette di serie come Curb Your Enthusiasm – che anzi basa la sua fortuna sulla mancanza di un lieto fine – ma che grazie a questo si lascia guardare.
Chi sta vedendo anche la seconda stagione americana dice che, dopo i primi tre, quattro episodi, la serie decolla. Staremo a vedere. Intanto ci godiamo un prodotto leggero, che gioca sui e con gli stereotipi (divertente il finale del secondo episodio, con la gara col poliziotto se è più razzista o omofobo), che a fronte di più di una sequenza blanda e di circostanza, diverte con qualche gag intelligente e buone battute (E’ duro togliere l’odore di sgualdrina dal cotone egiziano”). Vero punto debole è però l’adattamento della serie, che spesso travisa e banalizza i dialoghi, come quando da una battuta su Michael Jordan viene eliminato il riferimento al giocatore di basket più grande di sempre per tradurre con “l’imperatore”. Rischiando così di vanificare la portata dell’humour. Di contro va sottolineato che Fox ha rimediato allo scempio che ABC fece della prima stagione, mandando gli episodi in ordine sparso: quello che abbiamo visto come secondo, in USA è andato in onda come decimo. Segno che quasi tutto il mondo è paese.
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