Ha sempre un compito particolare il primo film italiano ad apparire in concorso in un festival di cinema, è una sorta di biglietto da visita che nel bene o nel male condiziona tutti gli altri: non fa eccezione il festival di Roma. E così a Il mio domani di Marina Spada – regista attiva nel cinema d’autore e nella sperimentazione – spetta il compito di guidare la pattuglia dei 4 film italiani del concorso del 2011. E non lo fa nel migliore dei modi, con un dramma rarefatto ed esistenziale che ha sollevato pochi applausi e molta perplessità.
Il film racconta di Monica, una manager di un’azienda in cui “forma” i quadri e i dipendenti, ma anche una donna sola, con un padre austero, una sorellastra difficile e una vita sentimentale confusa. Ma il corso degli eventi, e le parole che dice ai propri allievi, la portano a riflettere su sé stessa e a cercare di cambiare vita, cercando il proprio domani. Film drammatico scritto dalla regista con Daniele Maggioni e Maria Grazia Perria ispirandosi al cinema di Michelangelo Antonioni che racconta – proprio come il cinema d’autore degli anni ’60 – l’alienazione di una donna divisa tra troppi elementi che non sa conciliare.
Infatti tutto il film, nel ritrarre questa figura di donna contemporanea, si basa su contrapposizioni tematiche: il vuoto e il pieno, la città e la campagna, la religione e il lavoro, la Bibbia (che legge il padre di Monica) e Il signore degli anelli (che adora suo nipote), l’economia e l’arte. E su queste opposizioni molto basilari, Spada organizza un discorso allo stesso tempo intimo e universale sulla donna e il suo posto anche fisico nel mondo, come dimostra l’utilizzo non molto originale di una Milano grigia e piovosa: il limite del film è che queste idee tematiche e narrative fanno fatica a diventare anche cinematografiche, lasciando lo spettatore ad attendere un’idea di stile che non arriva.
La sceneggiatura in questo caso darebbe una bella mano alla regista, con la bella idea di contrappuntare il racconto con le lezioni che fanno da guida e chiave di lettura, ma poi approda a un finale facile e conciliante che contrasta con tutto lo scavo psicologico precedent; e Spada ci prova, con inquadrature ricercate, immagini lente, riflessioni e metafore visive, ma non ha la forza stilistica necessaria. Cosa che si ripercuote sugli attori, soprattutto su una Claudia Gerini che dovrebbe reggere da sola il peso dell’intera pellicola e spesso si ritrova fuori parte. Un passo falso per la regista e anche per la truppa italiana, che deve puntare su Pupi Avati, Pippo Mezzapesa e Ivan Cotroneo per riscattarsi. Vi aggiorneremo in materia, continuate a seguirci su Screenweek.
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