Ci rifacciamo delle ultime delusioni con due titoli che invece hanno fatto la loro inaspettata grande figura al Festival di Venezia – Killer Joe di William Friedkin e Life Without Principle di Johnnie To.
Quando dico che Killer Joe ha fatto una grande figura “inaspettata”, lo dico non per mancato rispetto verso a William Friedkin (autore di grandi film come L’esorcista e Il braccio violento della legge), ma per un’onesta presa di coscienza sul fatto che da un po’ il vecchio Bill non è più quello di una volta. Dunque è sorprendente come Killer Joe sia una pellicola riuscitissima e davvero azzeccata. Tratta da un play di Tracy Letts, anche sceneggiatore, il film racconta di Chris (Emile Hirsch), un redneck che propone al padre (un fantastico Thomas Haden Church) di uccidere la propria madre e di lui ex-moglie per intascare i soldi dell’assicurazione. Per farlo, chiamano in causa Killer Joe (Matthew McConaughey, nel ruolo della vita), un detective della polizia che “arrotonda” facendo il killer.
Friedkin mette in scena una galleria di personaggi uno peggio dell’altro, una banda di ignoranti e codardi che si mettono in un affare più grande di loro, lasciando trasparire tutto il marcio che si annida nella loro anima. Eppure, non riusciamo ad odiarli, perché sappiamo che in tutti noi si agitano istinti di sopravvivenza che, se liberati, potrebbero avere risultati devastanti. L’affresco dell’America di oggi è cinico e disincantato, il male non proviene da fuori ma dal nucleo famigliare, il sogno americano della seconda occasione si trasforma in una versione distorta di se stesso. Non pensate, però, che Killer Joe sia un dramma: è un film esilarante, anche se le risate sono amare, incastonato tra Tarantino e Lynch, con un pizzico dell’ultimo Herzog. Si ride tantissimo, e verso la fine si rimane anche scioccati per una delle scene a sfondo sessuale più audaci mai viste. Bravo, Mr. Friedkin!
Johnnie To abbandona per un attimo l’action e si sposta sul terreno del thriller finanziario con il buon Life Without Principle, film corale che racconta tre storie incastrate fra loro nella Hong Kong della crisi economica. Un gangster, un’impiegata di banca e un poliziotto affrontano le sfide di tutti i giorni e si confrontano con lo spettro della povertà, che nasce dall’improvviso e devastante crollo delle borse.
To sceglie una struttura non lineare e si sposta continuamente avanti e indietro nel tempo per narrare gli eventi e i loro retroscena. Il risultato coinvolge e avvince, anche se la natura già complessa dei dialoghi, stracolmi di termini tecnici legati alla borsa, a tratti viene resa ancora più ostica proprio da questa narrazione acronica. Life Without Principle è, come Killer Joe, un film sulla società moderna, fatta di individui materialisti e pronti a pugnalarsi alle spalle per un tozzo di pane. To ha anche l’indubbio pregio di aver dato i natali a uno dei migliori personaggi visti di recente, il Panther di Lau Ching Wan, sorta di gangster bonario e maneggione che alla fine, in un mondo alla rovescia, è l’unica figura positiva del lotto. Life Without Principle non sarà un capolavoro, ma dimostra ancora una volta quanto i cinesi ci sappiano fare col cinema.
Siete pronti per il gran finale della Mostra del Cinema di Venezia? Domani sapremo i nomi dei vincitori! Nel frattempo, qui potete consultare tutti gli articoli dal festival.